Sembra essersi scatenata una vera “oro-mania” in Europa, dove tra tre giorni, esattamente in Svizzera, 5 milioni di cittadini saranno chiamati a decidere con referendum se rimpatriare le riserve di oro oggi depositati all’estero e se portare dall’8% al 20% la quota di metallo sul totale delle riserve della banca centrale. Ma la proposta della destra elvetica, l’UDC, è tutt’altro che un’iniziativa isolata. APPROFONDISCI – Referendum oro Svizzera, ecco di cosa non si parla nel dibattito
Il caso tedesco
Alla fine del 2012, fu il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, a capo della più potente banca centrale europea, a sconvolgere gli operatori, quando annunciò che avrebbe rimpatriato entro il 2019 l’oro depositato all’estero, per lo più presso i forzieri della Federal Reserve, della Banca di Francia e della Bank of England.
Trattandosi delle seconde riserve di oro al mondo, dopo quelle degli USA, ci si chiese se ciò fosse la premessa per il ritorno a un sistema aureo, il
“gold standard”, o se nascondesse la volontà della Germania di tutelarsi da un eventuale tracollo dell’euro, nel caso si fosse tornati alle monete nazionali. Fece ancora più scalpore, poi, quando pochi mesi l’istituto ha dovuto ammettere che il piano di rimpatrio dell’oro tedesco non poteva essere portato avanti per non meglio precisate difficoltà logistiche. Gli USA riconsegnarono in un anno di tempo alla Bundesbank appena qualche tonnellata di lingotti.
APPROFONDISCI – La Bundesbank si arrende alla Fed: l’oro tedesco non potrà tornare in Germania Germania, il mistero dell’oro sparito dalla Fed. Rimpatriate solo 5 tonnellate Da quell’episodio si è scatenato il dubbio che a Fort Knox non vi sia più l’oro che gli alleati europei consegnarono agli americani per metterlo in sicurezza, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, da un’eventuale invasione dell’Unione Sovietica.
Sta di fatto che i russi non ci invasero, per fortuna, ma l’oro sembra che l’abbiamo perso comunque, sebbene per vie diverse da quelle dell’occupazione militare. Gli USA – è il sospetto inconfessabile di diversi operatori ed analisti – potrebbero avere venduto o locato con determinati contratti i lingotti stranieri a investitori privati, col risultato che potrebbe averne conservato la proprietà, ma non il possesso. In sostanza, l’oro europeo in America non ci sarebbe e il suo rimpatrio sarebbe molto difficile, se non impossibile da attuare.
La richiesta olandese
Fatto sta che anche la banca centrale di Amsterdam ha annunciato nei giorni scorsi che intende aumentare dall’11% al 31% le riserve di oro detenute in patria. E quel 20% in più aumenterà rimpatriando l’oro dagli USA, dove viene conservato il 51% dei lingotti olandesi, percentuale destinata a scendere, almeno nelle intenzioni dell’istituto, al 31%. Invariate al 20% e al 18% le percentuali detenute presso il Canada e il Regno Unito rispettivamente. L’azione di Amsterdam implica una sfiducia palese verso l’America, se è vero che intende rimpatriare solo l’oro depositato presso la Fed.
Il caso Le Pen
E un paio di giorni fa, il leader del più grosso partito politico francese, il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, ha scritto al governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, chiedendogli di rimpatriare tutto l’oro delle riserve detenuto all’estero e di sospendere tutti i piani di vendita decisi sotto l’amministrazione di Nicolas Sarkozy. Inoltre, ha chiesto che l’istituto acquisti altro oro, man mano che le quotazioni scendono (consiglio: a ogni -20%). APPROFONDISCI – Francia, crisi di governo sull’austerità. Hollande è senza linea e Le Pen al 40% tra gli operai La mossa di Le Pen potrebbe prestarsi a due interpretazioni: la leader della destra radicale transalpina preparerebbe così la strada a un ipotetico ritorno al franco francese, da lei invocato e auspicato, garantendo la vecchia moneta nazionale con i lingotti.
Ma la Le Pen potrebbe anche volere mettere in difficoltà gli USA, creando un caso diplomatico, nel caso in cui risultasse che nemmeno in questo caso fossero in grado di restituire i lingotti. D’altronde, è notizia di questi giorni che una piccola banca vicina al presidente russo
Vladimir Putin ha finanziato il Fronte Nazionale con 9 milioni di euro, tutti regolarmente ammessi e denunciati dal partito francese. E facendo 2+2, i conti tornano. Il filo conduttore di tutte queste richieste, sfiducia verso gli USA a parte, potrebbe essere anche il crescente convincimento tra i banchieri centrali e il mondo politico che dopo anni di stamperie degli istituti, sia arrivato il momento di tornare a garantire la moneta con una ricchezza tangibile, l’oro.
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