Inizia in maniera movimentata la conferenza stampa del governatore della BCE, Mario Draghi, interrotta per qualche minuto dalle proteste di una manifestante, che indossava una maglietta con la scritta “Fermiamo la dittatura della BCE” e che ha lanciato contro il governatore un pugno di coriandoli. Tornata la calma, Draghi ha risposto alle domande dei giornalisti, ribadendo con forza che il piano di acquisto dei titoli di stato dell’Eurozona, noto come “quantitative easing”, sarà portato avanti fino al settembre del 2016 o fino a quando l’inflazione non si sarà riportata all’obiettivo dell’istituto, ovvero quasi al 2%, evidenziando come quest’ultima affermazione va intesa in senso estensivo, escludendo un’interruzione anticipata.
Legame inflazione – cambio
Al contempo, però, non ha nascosto i rischi derivanti dall’esistenza sui mercati di rendimenti negativi per un periodo prolungato, in quanto potrebbero alimentare una bolla. Ma ha rassicurato che la BCE sta monitorando con grande attenzione, affinché il fenomeno non si verifichi. Richiamato su un altro rischio, il cosiddetto “overshooting”, ossia che con il deprezzamento dell’euro, l’inflazione non possa salire ben oltre le attese e i livelli desiderati da Francoforte, Draghi ha fatto presente che non esisterebbe alcuna evidenza così immediata del legame diretto tra le variazioni del cambio e quelle dei prezzi, ricordando come nel recente passato, il rafforzamento dell’euro non si sia tradotto in un calo dell’inflazione, così come adesso non è scontato che il suo indebolimento porti a una risalita dei prezzi nell’Eurozona.
Appello sulle riforme
In ogni caso, gli stimoli monetari attuati dalla BCE dovranno accompagnarsi alle riforme strutturali, ha spiegato, perché solo queste ultime spingeranno la crescita dell’economia nel lungo periodo, anche se ha escluso che una politica monetaria accomodante possa creare un disincentivo a fare le riforme. E ha citato proprio il caso della Spagna, dove la disoccupazione resta altissima, ma dalla fine del 2013 a oggi è stato creato oltre mezzo milione di posti di lavoro, grazie alla riforma del mercato del lavoro del 2012. E interpellato sul caso Grecia, il governatore non ha voluto commentare le indiscrezioni relative a un possibile default di Atene, limitandosi a ricordare che i titoli di stato ellenici non sono stati più accettati da febbraio, perché non esistevano e a tutt’ora non esistono le condizioni, ovvero l’aspettativa “credibile” di un esito positivo del negoziato tra il governo Tsipras e i creditori pubblici. APPROFONDISCI – Grecia, dalla BCE altri 1,2 miliardi alle banche. Qual è il gioco di Draghi?