I contratti di “swap” sono strumenti derivati, che hanno fatto la loro comparsa sui mercati finanziari agli inizi degli anni Ottanta. Essi nascono con una finalità essenzialmente di tutela delle parti dai rischi di variazione dei prezzi o tassi sottostanti e consistono nello scambio di flussi finanziari da calcolare con criteri predefiniti e a date prefissate. Uno dei contratti di “swap” più noti è quello sui tassi (“interest rate swap”). Questi scambiano di norma gli interessi a tasso fisso contro gli interessi a tasso variabile, calcolati su un capitale, detto “nozionale”.
Esempio concreto
Immaginiamo che l’impresa A abbia contratto un finanziamento a tasso fisso (5% annuo) con una banca dal valore di un milione di euro e di durata decennale. Per ipotesi, si ha un’altra azienda, la B, che ha preso in prestito, invece, un milione di euro a dieci anni, ma al tasso variabile pari all’Euribor a 12 mesi + uno spread del 5%. Le parti potrebbero decidere di ripararsi contro il rischio tassi, la prima temendo che essi scendano, la seconda che essi salgano. A questo punto, stipulano un contratto di swap, con cui l’impresa A corrisponderà ogni anno un interesse del 5% all’impresa B, ricevendo in cambio un interesse pari all’Euribor a 12 mesi + uno spread del 5%. Il nozionale è considerato costante lungo l’intero arco di durata del contratto di swap.