Le inchieste giudiziarie sulla Popolare di Vicenza e Veneto Banca, che la settimana scorsa hanno portato all’arresto dell’ex manager di quest’ultimo, Vincenzo Consoli, hanno fatto emergere una realtà tutt’altro che virtuosa, ma che potrebbe risultare ben più diffusa di quanto non si pensi, specie tra le banche di piccole dimensioni e con operatività locale. Parliamo dei prestiti baciati.
Di cosa parliamo con esattezza? Si tratta della pratica, che si è scoperto essere in uso presso i due istituti negli anni passati, in base alla quale ai clienti venivano concessi prestiti più generosi o a condizioni più favorevoli, a patto che acquistassero azioni degli stessi.
Capitale banche sovrastimato con prestiti baciati
In questo modo, a fronte di un aumento degli impieghi, ovvero delle esposizioni, Vicenza e Veneto Banca potevano esibire un livello di patrimonializzazione sempre più elevato, quindi, una maggiore robustezza. L’aspetto più inquietante di questo sistema è che le due banche non erano e non sono a tutt’oggi quotate in borsa, per cui il prezzo delle azioni non era fissato dal mercato, ma dalle stesse emittenti, che evidentemente lo facevano al valore più alto. Per questo, erano arrivate formalmente a capitalizzare 1,5 volte il loro patrimonio netto tangibile, quando mediamente le altre banche quotavano in borsa a circa la metà del loro valore a libro.
Questa distorsione è stata fatale per circa 200.000 clienti, che si sono ritrovati soci di banche, il cui capitale valeva solo una minima frazione di quanto iscritto a bilancio, con il risultato che quando si sono accesi i fari sulla fragilità patrimoniale di questi istituti, i soci si sono ritrovati con in mano un pugno di mosche.