Il debito pubblico italiano sta diventando sempre più una montagna difficile da scalare. Nel mese di novembre è salito a 2.229,4 miliardi di euro, anche se è probabile che il 2016 sia stato chiuso al di sotto dei 2.220 miliardi, che fanno comunque circa il 133% del nostro pil. Tenere sotto controllo questa enorme passività non è compito semplice, anche perché non dipende interamente dalle azioni del governo. Il debito sovrano di uno stato tende a crescere in valore assoluto per effetto di due dinamiche: il fabbisogno finanziario al netto degli interessi della Pubblica Amministrazione (saldo primario) e la spesa per interessi.
L’Italia ha un avanzo primario di circa l’1,5% del suo pil, ma non riesce ugualmente a frenare l’ascesa del debito pubblico, in quanto deve sborsare ogni anno qualcosa come almeno il 4% del pil solo per pagare gli interessi. Il conto finale, quindi, è negativo di quasi il 2,5%, stando ai dati attesi per il 2016. (Leggi anche: Debito pubblico italiano sale anche a novembre)
760 miliardi per onorare il debito pubblico dal 2007
E la spesa per interessi è un esborso incredibilmente alto, che il Tesoro deve effettuare. Negli ultimi 10 anni, ovvero nel periodo 2007-2016, dalle tasche di noi contribuenti sono usciti quasi 760 miliardi di euro (756,4 miliardi) per pagare gli interessi sul debito, una cifra che corrisponde alla media del 4,8% del pil dell’arco di tempo considerato.
Quasi un euro su venti di ricchezza prodotta ogni anno, quindi, in Italia se ne va per pagare i creditori, una percentuale più elevata di quella spesa dallo stato per l’istruzione. E il confronto, seppur accidentale, ha implicazioni concrete: se la scuola serve a formare le future generazioni ed è a tutti gli effetti un investimento sul nostro futuro, il debito è ipoteca sul futuro degli italiani, per cui è come dire che oggi lo stato spende di più per “sottrarre” futuro ai propri figli che per offrire loro una prospettiva; insomma, scommette contro il suo futuro.