L’Italia è alle prese con un’emergenza immigrazione sulla quale è stato detto tutto e il contrario di tutto. L’approccio all’argomento, come spesso avviene nel nostro paese, ha subito assunto i toni del tifo calcistico con ovvia formazione di due tifoserie. Da una parte si invoca la chiusura dei porti, il respingimento dei migranti e nei casi clinici più gravi l’affondamento dei barconi e dall’altra si implora invece l’apertura indiscriminata di porti e frontiere come in un videogame.
Proprio a chi sta nel mezzo, dove con mezzo non intendiamo la terra di mezzo del re delle cooperative Buzzi che aveva scoperto che gli immigrati rendono di più della droga e si era buttato a capofitto nel business assieme al nero Carminati, è dedicata questa intervista doppia. Abbiamo infatti rivolto alcune domande precise ai due redattori di InvestireOggi, Giuseppe Timpone e Carlo Pallavicini, che hanno maggiormente seguito il dossier immigrazione.
Il punto di partenza di questa intervista è di obbligo. Il presidente dell’Inps Boeri, in piena emergenza sbarchi, ha affermato che gli immigrati servono a pagarci le pensioni. Quanto c’è di vero in questa affermazione e a quali immigrati Boeri si riferiva in un intervento che è stato immediatamente strumentalizzato dalla politica.
– G.T.: “Gli immigrati ci pagano la pensione” la trovo un’espressione del tutto simile per elevatezza culturale a “gli immigrati ci rubano il lavoro”. Intendiamoci, se un immigrato arriva in Italia regolarmente, trova un lavoro e paga i contributi all’Inps, sta contribuendo di fatto a finanziare l’erogazione delle pensioni oggi. Tuttavia, ricordiamoci che i contributi versati da chicchessia sono anche un debito per l’Inps, perché significa assegni futuri da staccare.
E’, poi, statisticamente dimostrato che gli immigrati che arrivano in Italia o in un altro paese dell’Occidente tendano ad adeguarsi sul piano dei comportamenti demografici, ovvero a generare sostanzialmente lo stesso numero di figli di una famiglia-tipo del paese ospitante. Questo significa che anche quando “importassimo” milioni di immigrati dall’estero – sempre che quelle braccia trovassero realmente un lavoro regolare in Italia – avremmo risolto forse il problema solo temporaneamente, risultando necessario in futuro fare entrare ulteriore manodopera per sostenere i conti previdenziali.
Lo stesso Tito Boeri ha citato cifre a dir poco risibili: 38 miliardi di contributi netti in 22 anni, ovvero la media di 1,7 miliardi all’anno. Sapete quanti contributi abbiamo versato nel 2016 complessivamente all’Inps? Intorno ai 218-219 miliardi. E c’è, infine, un altro problema: se avessimo lo stesso tasso di occupazione della Germania, avremmo 6-7 milioni di lavoratori in più in Italia. Dunque, c’è fame di lavoro nel nostro paese, non eccesso di lavoro da offrire agli immigrati. Può essere vero in alcuni comparti produttivi, ma in generale il problema dell’Italia è che più di un giovane su tre non lavori e che al Sud tale incidenza superi il 50%. Prima di parlare di immigrati, dovremmo guardare a cosa non va in casa nostra, ma per la politica è più facile girare la testa da un’altra parte.
–C.P.: Boeri ama scandalizzare e soprattutto fuoriuscire dai limiti del suo mandato tecnico. Un professore della Bocconi con un po’ di delirio di onnipotenza. Andando al cuore della questione, c’è qualcosa di vero e qualcosa di insostenibile dal punto di vista culturale: quello che è vero è che un immigrato ‘regolare’ versa contributi e tasse in un paese in cui può capitare che non riceva né pensione né particolari paracaduti sociali, nella misura in cui molti attendono di accumulare abbastanza soldini per tornarsene nel proprio paese e aprire ad esempio un’attività, lasciando qui quanto versato.
Nelle prossime pagine le altre domande e risposte dell’Intervista doppia di IO