Non serve un esplicito approccio sessuale per dover rispondere del reato di violenza sessuale. Anche un approccio timido può sfociare nella violenza sessuale quando si invade la sfera intima di una donna.
La mano sulla coscia, una pacca sul sedere, la mano infilata nella scollatura senza il consenso della donna hanno un significato erotico e rendono palese il desiderio maschile. Proprio per questo non possono essere considerati solo un’espressione di ammirazione.
Per violenza sessuale, così come chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza 36627 del 24 luglio 2017, non si intende soltanto l’imposizione di un rapporto sessuale alla vittima ma anche le azioni rapide che invadono la sfera intima della donna senza il suo consenso.
Dare un bacio sulle labbra senza il consenso dell’altro, abbracciare una persona che non vuole, toccare zone considerate erogene, come cosce, glutei, seno, senza che la donna lo voglia. Anche qualora, nell’intento di raggiungere una zona erogena della vittima si tocchi una zona non erogena per la pronta reazione della donna, il reato sessuale sussiste lo stesso. Anche i palpeggiamenti in autobus affollati o la pressione di una gamba sulla coscia della donna seduta accato rientrano nel reato di violenza sessuale.
In tema di reati sessuali la Corte di Cassazione si è espressa in diverse circostanze e con la sentenza 27469 del 2008 ha chiarito che « In tema di reati sessuali, se il contatto corporeo posto in essere dall’agente nei confronti della vittima riguardi una zona diversa da quelle qualificabili come erogene, secondo la scienza medica, psicologica, antropologica, o comunque diversa da quella effettivamente presa di mira dall’agente, perché quest’ultimo è stato costretto a interrompere l’azione criminosa per la reazione della vittima o per altre ragioni, l’agente risponderà del solo tentativo del reato di violenza sessuale, se l’intenzione era comunque libidinosa.