Scade a fine mese il mandato di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia e sulla base della legge n.262 del 28 dicembre 2005, spetterà al governo, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il Consiglio superiore dell’istituto, proporre il nome del successore al presidente della Repubblica, il quale emanerà un apposito decreto. La carica dura sei anni ed è rinnovabile una sola volta. Visco fu nominato a capo di Palazzo Koch dal governo Berlusconi, poco prima che si dimettesse, per sostituire Mario Draghi, che esattamente alla fine del suo mandato da governatore veniva spedito a Francoforte per ricoprire la presidenza della BCE.
La domanda che ci si pone in questi giorni è se Visco otterrà un secondo mandato o se gli sarà negato dal governo Gentiloni. In teoria, la nomina non riguarda il Parlamento, che contrariamente a quanto accade per le authorities non vota alcunché. Tuttavia, sono state presentate tre mozioni, una ciascuna da parte di PD, Movimento 5 Stelle e Lega Nord e tutte contrarie al rinnovo del mandato in capo al governatore uscente. (Leggi anche: Scandalo banche, ecco perché Mattarella ha impedito le dimissioni di Visco)
A difendere, pur tra le righe, Visco c’è Forza Italia, che con il capo-gruppo alla Camera, Renato Brunetta, ricorda (a Matteo Salvini?) che il numero uno di Palazzo Koch fu nominato proprio dall’ultimo governo di centro-destra. Favorevoli alla riconferma anche i centristi della maggioranza, mentre Sinistra Italiana chiede che la nomina venga rinviata a dopo le elezioni. Improbabile, tuttavia, che l’Italia segnali tanta incertezza così a lungo. Se è vero che la Banca d’Italia non batte più moneta, resta il fatto che il suo governatore partecipa alle riunioni del board della BCE ed è membro votante.
Mozione PD contro Visco sciocca Bankitalia
Lo stesso governo sarebbe favorevole a farlo rimanere in carica altri sei anni, ma il segretario del PD, Matteo Renzi, non ha mai fatto mistero di non gradire colui, che accusa di avere male gestito la crisi delle banche italiane negli ultimi anni, con il risultato che queste sono state alla fine salvate gravando sui conti pubblici, ovvero con i soldi dei contribuenti.
Il Quirinale si è anche affrettato a telefonare a Palazzo Koch per segnalare la propria vicinanza al suo governatore. Quest’ultimo si è detto pronto ad essere ascoltato a breve dalla neonata Commissione d’inchiesta sulle banche e ha rifiutato la lettura (renziana), secondo la quale Bankitalia avrebbe avuto gravi responsabilità nella crisi delle banche italiane di questi anni, notando, al contrario, di avere fatto tutto il possibile per evitare effetti recessivi sulla nostra economia, segnalando irregolarità ai magistrati, nei limiti dei poteri affidatile dalla legge. Insomma, è scontro a distanza tra Visco e Renzi, con il primo intenzionato a salvare l’onore e il secondo a non farsi travolgere sulle banche in campagna elettorale, ribaltando l’interpretazione politica prevalente, secondo cui egli si sarebbe reso responsabile di superficialità e di connivenze sulla gestione della crisi.
Il delicato rapporto tra politica e Bankitalia
Va da sé che le mozioni di M5S e Lega, ancora più dure di quella del PD, non passeranno per insufficienza di voti in Aula, ma è bastato lo scossone del PD a provocare un terremoto. Adesso, infatti, il governo si troverebbe a nominare Visco, dopo avere sostenuto la mozione della sua stessa maggioranza, per cui egli avrebbe provocato una crisi di fiducia verso l’istituto. Vero è che parte della mozione sia stata ammorbidita prima di passare ai voti e che lo stesso Renzi si sia affrettato a spiegare di non c’entrare nulla, ma quanto sta accadendo ha dell’inverosimile e rischia di creare strascichi pesanti. A questo punto, non è nemmeno scontato che il governatore accetti il bis, perché in ballo ci sarebbe l’onore di Bankitalia. Di fatto, la sua nomina sarebbe oggi non voluta dalla netta maggioranza del Parlamento, se sommassimo i voti di PD, M5S e Lega, per quanto deputati e senatori non abbiano formalmente alcun potere di incidere su di essa.
L’economista Francesco Giavazzi scrive oggi sul Corriere della Sera un duro atto di accusa contro il PD, sostenendo che quello che sta andando in onda in queste ore sarebbe un’inutile e dannosa “entrata a gamba tesa” della politica in Bankitalia, confermando così la tendenza della prima ad occuparsi delle banche, causa dei mali di queste ultime. Un’interpretazione che ha senz’altro un fondamento, anche se non possiamo negare che la politica dica la sua su eventuali responsabilità del governatore e dell’istituzione da lui retta. Anzi, non potrebbe sottrarsi dal farlo, altrimenti saremmo dinnanzi a un ente dalle spalle coperte politicamente a prescindere. Il problema è semmai un altro, ovvero che sulla nomina del governatore, Renzi intenderebbe giocarsi una ennesima partita personale, anche a rischio di screditare o destabilizzare una istituzione nazionale.
La mozione del PD in sé non è illegittima, pur opinabile. La politica ha il diritto di segnalare al governo, responsabile della nomina, la propria posizione. Tuttavia, quando un partito politico strumentalizza un atto così importante per cercare di calciare la palla delle responsabilità nel campo altrui, trasformando Bankitalia in terreno di scontro politico per fini elettorali, questa diventa irresponsabilità. Peraltro, se fino a ieri vi erano grossi interrogativi attorno alla persona di Visco, che ha guidato Palazzo Koch in anni turbolenti e non sempre trasparenti nella gestione della crisi bancaria, adesso questi sono finiti a fare parte dello scontro politico e rischiano di essere banalizzati, ponendo fine ancor prima di nascere a una discussione seria sulle responsabilità di ciascuno nell’evidente incapacità di prevenire prima e di gestire dopo la crisi delle banche. (Leggi anche: Banche italiane a rischio? Diffidate della difesa d’ufficio di Visco)