Era il 9 novembre del 1989, quando cadeva il tristemente noto Muro di Berlino, a distanza di 28 anni dalla sua costruzione, ordinata dal governo dell’ex Germania dell’Est comunista, per separare anche fisicamente i tedeschi, impedendo a quelli residenti nell’allora DDR di spostarsi a vivere nella Repubblica Federale Tedesca, la ex Germania Ovest. La caduta non era stata programmata. Anzi, il segretario della SED, il partito unico, Erich Honecker, che era anche capo dello stato, soltanto poche settimane prima aveva dichiarato, in occasione dei festeggiamenti per i 40 anni dalla nascita della DDR, che il muro sarebbe rimasto in piedi “almeno per altri 100 anni”.
E, invece, dopo le proteste delle cosiddette “preghiere per la pace”, che vedevano radunarsi inizialmente solo a Lipsia e con il tempo in tutte le principali città dello stato gruppi sempre più numerosi di manifestanti per chiedere la democrazia, la sera del 9 novembre il partito improvvisa una conferenza stampa, tenuta dall’allora capo della comunicazione della SED, Guenter Schabowski. Alla domanda di un giornalista straniero, se i tedeschi dell’est avrebbero potuto attraversare il confine tra le due Germanie, nel caso si fossero presentati ai check-point, l’uomo quasi cadendo dalle nuvole e non sapendo cosa rispondere, in assenza di informazioni ufficiali, si limitò a rispondere: “Sì, certo”.
I costi della riunificazione
Increduli, davanti alle TV, migliaia di tedeschi uscirono dalle loro case per tentare di verificare se Schabowski avesse detto la verità e timidamente si appropinquarono al check-point di Berlino per attraversare il posto di blocco. I militari non reagirono, la folla festante mise piede per la prima volta dopo decenni nella parte occidentale della città e poco dopo iniziò a picconare il muro, nel pieno di scene di giubilo che rimangono nella storia. Ancora oggi, in tedesco esiste l’espressione “momento Schabowski” per rendere l’idea di un boomerang provocato dalla confusione.
La riunificazione delle due Germanie è avvenuta formalmente con le elezioni unitarie del 3 ottobre 1990, ma non furono solo rose e fiori. L’est si presentava nettamente più povero, senza una cassa previdenziale, per cui i tedeschi dell’ovest dovettero sobbarcarsi sia i costi infrastrutturali, sia quelli legati all’assistenza per la previdenza, in assenza di contributi versati nell’era comunista da parte dei lavoratori dell’ex DDR. Contrariamente alle previsioni, la decisione del cancelliere Helmut Kohl di agganciare il marco tedesco orientale con quello occidentale secondo un rapporto di 1:1 ebbe successo.
Difficili trattative di governo
Ancora oggi, tuttavia, i contribuenti tedeschi dei Laender occidentali sono gravati da una cosiddetta “imposta di solidarietà”, che dal 1998 è pari a una sovrattassa del 5,5% sui redditi delle persone fisiche, delle società giuridiche e i capital gains. Segno, che le disparità tra est e ovest non siano del tutto venute meno, come segnalano le recenti elezioni federali di settembre, che hanno consegnato una Germania divisa politicamente in due: pro-Merkel e ad alta percentuale di consenso per i liberali ad ovest; euro-scettica e un po’ nostalgica del comunismo ad est.
Adesso, le difficili trattative tra conservatori, liberali e ambientalisti per formare il primo governo a tre nella storia post-bellica tedesca potrebbero porre fine proprio alla tassa di solidarietà, la cui soppressione è invocata dai liberali, partito storicamente pro-business e che, come scritto, ha conquistato gran parte dei suoi consensi nell’ovest, non certo ad est. La mossa, tuttavia, rischia di apparire quasi punitiva nei confronti dei Laender orientali, rei di avere votato con percentuali spesso preponderanti gli euro-scettici dell’AfD, mandando la CDU della cancelliera Angela Merkel in seconda posizione in diverse aree, tra cui quelle nei dintorni di Dresda.
Il quarto e ultimo mandato per Frau Merkel dovrà essere all’insegna di una seconda riunificazione nazionale.