La Cina si apre di più al mondo, annunciando la riduzione dei dazi su 187 prodotti, che costituiscono il 30% delle importazioni complessive, portandoli dall’1 dicembre prossimo alla media del 7,7% dal 17,3% attuale. La novità riguarda numerosi beni di uso comune e la cui produzione risulta carente presso la seconda economia mondiale. Tra questi, vi sono gli alcoolici come il Martini, su cui la tariffa verrà abbassata dal 65% al 14%. Altri prodotti beneficiati saranno i pannolini, le macchine per il caffè, medicine, cosmetici e spazzolini da denti.
Gli analisti ritengono che tra i maggiori beneficiari dell’apertura commerciale cinese vi sarebbero le società europee, che nel 2016 hanno esportato verso Pechino 170 miliardi di euro di merci. E tra queste, in particolare, figurano Nestlè, Danone e Procter & Gamble, con quest’ultima a registrare in Cina l’8% del suo fatturato totale. 42 milioni di consumatori cinesi hanno comprato online lo scorso anno prodotti stranieri per 1.200 miliardi di yuan, circa 182 miliardi di dollari. Per quest’anno, il loro numero dovrebbe salire a 59 milioni e per una spesa totale di 280 miliardi.
Secondo il capo economista di Nomura in Cina, Zhao Yang, con la decisione di abbattere i dazi, Pechino intende segnalare la sua maggiore apertura al resto del mondo, accogliendo l’invito dell’amministrazione Trump, in particolare, di dare vita a relazioni commerciali più “eque”. Gli USA hanno registrato nel 2016 un deficit commerciale di 347 miliardi verso la Cina, il 70% del totale. E anche a ottobre, il disavanzo è stato provocato per il 70% dagli squilibri nell’import-export con la seconda economia del pianeta. (Leggi anche: Donald Trump atterra in Cina a un anno dalla vittoria)
La Cina tende la mano a Trump?
L’IVA sui beni resta al 17% in Cina, fa notare Zhao, ma il passo compiuto da Pechino rappresenta una mano tesa al presidente americano Donald Trump, il quale nel suo tour asiatico delle settimane scorse ha fatto tappa per la prima volta proprio anche dal collega Xi Jinping, avvertendo nel suo discorso nel Vietnam di qualche giorno dopo che l’America non accetterà più di soccombere nelle relazioni commerciali con le altre economie.
Non è la prima volta che la Cina taglia i dazi sulle importazioni. Fece lo stesso due anni fa su abbigliamento, scarpe e altri prodotti. Nel 2016, ha segnato un surplus commerciale di 510 miliardi, di cui il 70% nei confronti degli USA e un altro terzo verso la UE. Durante la visita di Trump, aveva già allentato le restrizioni sui movimenti dei capitali, consentendo agli investitori stranieri di aumentare la quota massima detenuta nei fondi dal 49% al 51%, praticamente accettando che il controllo passi anche in mani non cinesi. Una strategia di apertura, volta anche ad attirare ulteriori investimenti, al fine di sostenere la credibilità dello yuan come nuova moneta di riferimento, anche per gli scambi asiatici. La maggiore liberalizzazione commerciale, tuttavia, avrebbe effetti diretti più dirompenti sulle economie avanzate, stimolando le loro esportazioni presso il principale mercato di sbocco a più alto tasso di crescita, dove i consumi pesano per quasi i due terzi del pil. (Leggi anche: Ecco perché l’ascesa dello yuan sarebbe positiva per l’economia mondiale)