Meno male che arriva Natale e che la legislatura praticamente si conclude con lo spirare di questa settimana, perché Matteo Renzi e Maria Elena Boschi escono non solo travolti dalle audizioni alla Commissione d’inchiesta sulle banche di questi giorni, bensì pure e, soprattutto, umiliati sul piano personale e politico. Lunedì, il primo colpo contro l’attuale sottosegretaria alla presidenza del Consiglio lo aveva assestato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, quando affermava di non avere mai “autorizzato” nessuno nel governo a parlare con terzi della crisi delle banche e di avere appreso tramite la stampa degli incontri con banchieri tenuti da due esponenti dell’esecutivo a guida Renzi: la Boschi, appunto, e Graziano Delrio, attuale ministro delle Infrastrutture.
Dunque, la Boschi, pur ammettendo che non abbia fatto alcuna pressione sul dossier Banca Etruria, quanto meno avrebbe contravvenuto alla linea imposta da Padoan, che in qualità di presidente del Cicr (Comitato interministeriale del credito e il risparmio), sarebbe stato quello titolato a tenere colloqui formali sul tema. (Leggi anche: Crisi banche, Padoan sfiducia Boschi e Renzi)
La seconda umiliazione per il duo arriva martedì, quando il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, afferma di essere stato avvicinato dall’allora premier Renzi su Banca Etruria nell’aprile del 2014, ma di avergli risposto che ne avrebbe parlato solo al ministro competente, ovvero Padoan, notando come Renzi gli avrebbe parlato del rischio che la banca toscana cadesse in mano ai vicentini e delle preoccupazioni “degli orafi”. Visco aggiunge di averla presa come una battuta (“forse lo era”) e che trovò il clima in cui avvenne quel breve colloquio “divertente”. E sulla Boschi, conferma la richiesta di informazioni su Etruria, ma il governatore precisa che non vi furono pressioni, né furono svelate informazioni riservate sulla vicenda.
Renzi e Boschi dipinti come irrilevanti
Insomma, nessuna pressione da parte di Renzi e Boschi, ma Visco quasi dipinge i due come fossero una macchietta e pur non affondando il colpo, dopo avere rischiato, il mese scorso, proprio a causa del segretario del PD di non ottenere il secondo mandato a capo di Bankitalia, è riuscito a sminuirli politicamente e umanamente quanto basta per non spingerli dall’orlo del baratro in cui sembrano essere arrivati negli ultimi giorni.
Infine, ieri l’ex ad Unicredit, Federico Ghizzoni, conferma almeno in parte la ricostruzione di Ferruccio De Bortoli nel suo Poteri forti (o quasi), quando spiega di avere ricevuto dalla Boschi la richiesta di valutare se Unicredit avrebbe potuto rilevare Etruria. Siamo nel dicembre del 2014 e il banchiere aggiunge che un mese dopo riceve per email una sollecitazione di Marco Carrai, il faccendiere fiorentino vicinissimo a Renzi. Conclude, sostenendo di avere voluto evitare di chiedere all’uomo chi lo avesse spinto a tale sollecitazione, al fine di “non aprire un canale di comunicazione”.
Dalla vicenda, Renzi e Boschi escono non male, malissimo. Anzitutto, perché i vari testimoni confermano l’attivismo sospetto su Etruria, come se vi fosse un interesse particolare per l’istituto toscano. In sé, ripetiamo, nulla di illegittimo, ma in politica, si sa, vale anche la regola dell’opportunità. L’aspetto che li colpisce maggiormente, tuttavia, è quello dell’irrilevanza percepita in tutta la vicenda.
Vendetta di Visco e Ghizzoni?
Non sappiamo se le ricostruzioni siano state così nitide o se il governatore e il banchiere non abbiano cercato di stemperare il clima, minimizzando la portata degli incontri. Se lo avessero fatto, avrebbero cercato di “aiutare” l’attuale segretario del PD e la sottosegretaria nella maniera più umiliante possibile, ovvero riducendoli a personaggi quasi da barzelletta, con ciò servendo loro una vendetta piuttosto crudele. L’uno, per avere rischiato la poltrona di governatore appena tre settimane fa; l’altro, per una ragione apparentemente ignota. Nella primavera del 2016, il Fondo Atlante, nato nei fatti su sollecitazione del Tesoro, salvò Unicredit, guidata ancora proprio da Ghizzoni, dall’abbraccio mortale con la Popolare di Vicenza, della quale aveva garantito la ricapitalizzazione a fine 2015, salvo ripensarci qualche mese dopo. Nel maggio successivo, la sostituzione con Jean-Pierre Mustier. Che il suo licenziamento da ceo abbia avuto a che fare con la sua ostinazione a non rilevare Etruria?
Finora si è sempre ipotizzato che abbia pagato pegno per avere spinto la banca quasi sull’orlo di un disastro con la Popolare di Vicenza. Ieri, invece, quando gli è stato chiesto in Commissione se abbia notato un atteggiamento diverso del governo nei confronti di Unicredit dopo il rifiuto a salvare Etruria, egli ha risposto di no con una frase quasi pronunciata senza slancio. Possibile anche, a dire il vero, che il Tesoro abbia orchestrato la nascita di Atlante, chiedendo in cambio la testa di chi aveva reso necessario un simile intervento del governo dietro le quinte. Una cosa appare assodata: la Commissione d’inchiesta sulle banche, lungi dall’avere provato pressioni palesi da parte del governo Renzi, ha relegato l’ex premier e la sua ministra aretina negli annali dei personaggi irrilevanti e, a tratti, comici.