Le azioni Kering sono salite di quasi l’86% nell’ultimo anno, sostenute dalla forte crescita dei ricavi del gruppo, che possiede marchi come Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta e PUMA. Il boom in borsa è legato alla crescita a doppia cifra del fatturato negli ultimi trimestri, con vendite cumulate per 11,2 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2017, trainate proprio da Gucci, che ha rappresentato il 39% (4,4 miliardi) del totale e il cui brand è stato valutato lo scorso anno in 12,7 miliardi di dollari.
E le prospettive appaiono rassicuranti, se Bain & Co ha stimato un aumento del 6% del fatturato globale nel settore del lusso per lo scorso anno, salito a 262 miliardi. Gucci sta sfruttando al meglio il trend positivo del mercato, partendo dallo svecchiamento d’immagine del passato e puntando proprio sui giovani, grazie anche a una strategia di marketing molto social. Oggi, i modelli del marchio italiano del lusso sono indossati da celebrità come Rihann e Brad Bitt.
Gli stores Gucci sono 580 in tutto il mondo e sono stati letteralmente reinventati dal ceo Marco Bizzari e dal direttore creativo Alessandro Michele, che possono essere considerati i veri fautori della svolta e del rilancio del marchio negli ultimi anni. Lo store è stato pensato per coniugare l’esperienza dell’acquisto con la piattaforma digitale, proprio per venire incontro alle preferenze della clientela più giovane, che si fa guidare dal contenuto, dalle emozioni e dai legami personali.
Il lusso sbarca sui social
Gucci sfrutta molto i social e, in particolare, Instagram con ben 20,3 milioni di followers a seguire le foto postate. Grazie a questa strategia, oggi è diventato il brand ad avere aumentato più di tutti la sua quota di mercato negli ultimi 5 anni, passando dall’11,8% del 2013 al 14,5% del 2017. Non tutti hanno avuto la stessa fortuna. Prendiamo un altro marchio del lusso italiano, Prada: è passato dal 10,9% al 7,1% nello stesso periodo. E il trend favorevole a Gucci e sfavorevole a Prada dovrebbe confermarsi anche quest’anno, con UBS a stimare un aumento delle vendite dell’8% per il gruppo Kering e del 3% per la rivale.
I social non spiegano del tutto il successo di marchi come Gucci nel mondo che cambia. Un altro ingrediente fondamentale è la velocità. E qui, sta forse una delle più grandi rivoluzioni della moda di alta gamma. Il “dream team” Bizzarri-Michele si è rivelato perspicace nel capire che con il diffondersi della cosiddetta “fast fashion”, tramite marchi come Zara e H&M, i ritmi sono accelerati sul mercato. Non è più possibile per una casa di moda fossilizzarsi solo sulla presentazione dei modelli legati alle collezioni autunno/inverno e primavera/estate; servono nuovi modelli lungo tutto l’anno, per cui bisogna ridurre i tempi che vanno dall’ideazione alla produzione e alla successiva presentazione al mercato. (Leggi anche: Tendenze moda autunno 2017)
Collezioni più veloci
Anche per questo, Gucci sta aprendo una nuova sede in Italia da 35.000 metri quadrati, il cosiddetto Art Lab, in cui produrrà scarpe e pelletteria. Obiettivo: avvicinare la produzione al mercato di sbocco e velocizzare i tempi di vendita dei nuovi modelli. Si pensi che il ciclo medio ad oggi per ideare, produrre e dopodiché vendere un modello è di 18 mesi, tempi biblici per il mondo del 2018.
Gucci sta avendo il merito di sfatare il mito dei giovani disinteressati al lusso, cosa che i dati smentiscono e non solo sul fronte della moda, bensì pure dei diamanti. Al contrario, serve parlare il loro linguaggio per mettersi al passo con i tempi, perché in effetti i “millenials” una differenza rispetto ai loro genitori la presentano: non sono così fedeli al marchio, se non lo trovano più di interesse, cambiano. A dicembre, due marchi della moda internazionale hanno subito un tonfo in borsa un po’ per la stessa ragione, pur appartenendo a due target diversi: Salvatore Ferragamo e H&M. Entrambi starebbero pagando l’essere poco social e l’avere puntato troppo poco sull’e-commerce, che Gucci, invece, sta sfruttando molto. A dimostrazione che, oggi come oggi, non importa se vendi abbigliamento di lusso o a pochi euro; se non trovi i canali e il linguaggio giusti, fai passi indietro. E il blasone in sé conta sempre meno. (Leggi anche: Commercio elettronico manda in crisi l’abbigliamento: crollano Ferragamo e H&M)