Perché Amazon deve eliminare la concorrenza per non crollare in borsa

Amazon fattura molto, ma ha bassi margini. E se il costo del lavoro sale, questi si ridurranno ancora di più. Ecco come Jeff Bezos potrà difendere il suo modello di business.
7 anni fa
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Il colosso americano delle vendite online, Amazon, ha fatturato nel 2017 la bellezza di 177,9 miliardi di dollari, registrando un utile pre-imposte di 3,8 miliardi. A Wall Street, la creatura di Jeff Bezos vale quasi 726 miliardi, ovvero 4 volte il fatturato e oltre 48 volte l’Ebitda, nonché 234 volte l’utile netto. Si direbbe che i multipli siano un tantino esagerati, ma come sempre capita per realtà in veloce evoluzione come questa, la borsa starebbe comprando i tassi di crescita attesi per i prossimi anni.

Un solo esempio: nell’ultimo trimestre dello scorso anno Amazon ha iscritto a bilancio un utile netto di 1,9 miliardi, quando il record precedente risaliva al secondo trimestre del 2016 con 857 milioni. A conti fatti, tra ottobre e dicembre del 2017 ha fatto utili, al netto delle tasse, come nei precedenti 14 anni messi insieme. Aldilà di fattori una tantum, è evidente che di trimestre in trimestre potremmo assistere a record sempre più elevati per la società.

Ora, sta facendo impressione un altro dato di Amazon, ovvero la retribuzione media dei suoi dipendenti, pari a 28.466 dollari all’anno, qualcosa come 13,69 dollari per ciascuna ora di lavoro. Bezos ha subito messo le mani avanti rispetto alle potenziali accuse di sottopagare i dipendenti, sostenendo che il dato sarebbe il risultato di una media tra oltre 50 paesi in cui la società opera e che include anche i part-time. Verissimo, ma lo stesso dato risentirebbe in rialzo degli stipendi dei dirigenti, tra cui lo stesso Bezos, che percepisce quasi 82.000 dollari l’anno di stipendio, oltre a 1,6 milioni di spese per la sicurezza personale coperte dalla società. Non stiamo parlando, tuttavia, di valori elevati, in rapporto alle altre quotate.

Amazon, racconto choc sulle condizioni dei lavoratori

Bassi margini e salari modesti

Il costo del lavoro totale sarebbe stato, quindi, di 16,1 miliardi nel 2017 per i 566.000 dipendenti risultanti a fine anno, anche se molti a seguito dell’acquisizione di Whole Foods nel luglio scorso, pari al 9% del fatturato totale.

Abbastanza contenuto, diremmo. In effetti, il retail è caratterizzato da bassi margini e da una incidenza altrettanto bassa del costo del lavoro sul fatturato, altrimenti si chiude. Cosa accadrebbe, quindi, se in conseguenza della piena occupazione del mercato del lavoro negli USA e dell’aumento delle pressioni sindacali nelle altre economie, il costo del lavoro in Amazon crescesse?

I calcoli sono presto fatti: una crescita media salariale del 10% porterebbe il costo complessivo a 17,7 miliardi, ovvero i 3,8 miliardi di utile pre-imposte si ridurrebbe a 2,2 miliardi, per cui crollerebbe del 42%. A quel punto, agli attuali valori di borsa Amazon capitalizzerebbe 330 volte l’utile pre-imposte. Mantenendo il multiplo di 191, a Wall Street il titolo dovrebbe valere anch’esso oltre il 40% in meno, crollando sui 430 miliardi di capitalizzazione. Ma ciò che stiamo ipotizzando appare realistico? In teoria, non molto. I salari americani potranno pure salire nei prossimi anni, considerando che il tasso di disoccupazione sia sceso già al 4,1% negli USA e che si attende che scivoli sotto il 4%. Tuttavia, l’occupazione in America rimane relativamente bassa, nell’ordine del 62%, quando la media OCSE viaggia intorno al 66%. Dunque, ecco forse spiegato perché le pressioni salariali non si starebbero materializzando ancora, con tassi di crescita dei salari orari del 2,5% medio.

Resta il fatto che bassi margini di profitto (2%) rischiano di essere risucchiati da un lieve aumento dei costi, del lavoro per primo. E allora, la parola d’ordine sarebbe diversificare, tanto che il servizio di clouding ha esitato nel 2017 un utile operativo di 4,3 miliardi. Bene, ma non basta. L’operazione Whole Foods dell’estate scorsa segnala la rapacità con cui Bezos si troverebbe costretto a sbarazzarsi della concorrenza, acquisendola fetta dopo fetta. Solo con un’integrazione tra vendite online e retail tradizionale potrebbero trovarsi quelle sinergie necessarie per abbattere i costi e non più i prezzi.

Se i grandi magazzini americani fossero controllati dai pochi enormi concorrenti dell’e-commerce, la lotta per abbassare i prezzi si allenterebbe e i margini potrebbero reggere anche a fronte di una lievitazione dei salari. E man mano che i punti vendita acquisiti si rendessero disponibili per il pick-up o per tagliare ulteriormente i tempi di consegna, avvicinandosi fisicamente al consumatore, il giro d’affari per le vendite online s’impennerebbe, giustificando apparentemente le alte valutazioni di borsa attuali. Dopo tutto, se c’è una cosa che questi colossi della rete ci hanno insegnato negli anni è che riescono ad accumulare liquidità a ritmi sbalorditivi. Amazon l’ha triplicata in 5 anni a quota 24 miliardi. Soldi, che servono prima o poi per comprarsi la concorrenza.

Amazon, vendite online Whole Foods sul sito decollano 

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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