Forza Italia acconsente alla nascita di un governo giallo-verde, ovvero dall’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Lega, ma non ne farà parte. Si limiterà a starsene fuori e a valutare provvedimento per provvedimento senza pregiudizi. E’ la sintesi del comunicato con cui ieri sera Silvio Berlusconi ha messo nero su bianco quello che era nell’aria da ore. Crescenti erano state le pressioni interne allo stesso partito, tra cui quelle di Giovanni Toti e Paolo Romani, affinché il leader compisse quel passo di lato che gli era stato richiesto esplicitamente dagli alleati e dai grillini, i quali sono persino arrivati a rendere noto che non vi sarebbe alcun veto nei suoi confronti, nel tentativo estremo di tendere la mano all’ex premier e rendergli più digeribile la sua esclusione dall’esecutivo.
Berlusconi otterrà equo indennizzo con astensione benevola
Quella tra martedì e ieri è stata una lunga notte per il Cavaliere, forse politicamente la più tormentata da quando è sceso in campo nel 1994, non fosse altro perché, sia per ragioni anagrafiche che per la maturità del suo ciclo politico, l'”astensione benevola” con cui si confronterà con il prossimo governo potrebbe costituire il suo ultimo atto da leader. E non rappresenta certo la chiusura in bellezza del suo ciclo politico lungo un quarto di secolo, che egli auspicava e pensava fosse alla portata con le ultime elezioni del 4 marzo. Anzi, per Berlusconi si sta materializzando la disfatta più totale del lungo lavorio compiuto negli ultimi 6-7 anni per tornare centrale e credibile sulla scena politica nazionale.
Tutti gli errori di Silvio dal 2011
Era il novembre 2011, quando la crisi dello spread che bombardava l’Italia lo costrinse alle dimissioni.
Ma per il PD i numeri appaiono insufficienti al Senato. Servono apporti esterni e in un impeto di rinnovata responsabilità nazionale, Berlusconi glieli concede. Nasce il governo di Enrico Letta, travolto dopo pochi mesi sia dalla condanna definitiva del leader azzurro sul caso Mediatrade e la sua successiva decadenza dal Senato per la legge Severino, sia per l’arrivo alla segreteria del PD del rampante Matteo Renzi. Forza Italia va all’opposizione, ma tiene una linea morbida verso l’esecutivo di Renzi prima e di Paolo Gentiloni dopo, subendo nel 2013 una scissione ad opera dei governisti di Angelino Alfano di NCD, poi Alternativa Popolare. L’atteggiamento ambiguo di Berlusconi, che nel frattempo era stato sottoposto all’umiliazione pubblica dell’affidamento ai servizi sociali presso la casa di cura per anziani di Cesano Boscone, irrita gli alleati di Lega e Fratelli d’Italia e, soprattutto, finisce per indispettire gli elettori del centro-destra, che intravedono nella non opposizione di Forza Italia una sorta di liaison non dichiarata con il PD renziano.
Si avvicinano le elezioni politiche del 2018. Berlusconi resta incandidabile, in quanto interdetto dai pubblici uffici, ma aspira a tornare centrale sulla scena politica, presentandosi al voto come il rappresentante dell’Europa di Angela Merkel contro le spinte populiste dei grillini, ma anche per frenare quelle degli alleati leghisti. E così, l’uomo che da sempre aveva cavalcato le pulsioni popolari contro l’establishment, si ritrova a giocare nel ruolo proprio di difensore di quest’ultimo, che a torto o a ragione viene da tempo identificato dagli italiani nei commissari e negli apparati burocratico-istituzionali europei. Berlusconi per la prima volta dal 1993 cammina contro il vento e cade. Non solo viene superato dai consensi della Lega, ma i suoi voti si rivelano insufficienti per potere orchestrare scenari alternativi, come un eventuale governo con il PD, a sua volta uscito triturato dalle urne.
Ipotesi Giorgetti premier e Berlusconi fuori, Forza Italia dovrà piegarsi
Fallita la strategia degli ultimi anni
Sei anni e mezzo di lavoro buttati. A nulla sarà servito mostrarsi responsabile, appoggiare governi e governicchi senza futuro e impopolari, nonché l’avere tenuto bassa la voce da oppositore contro il centro-sinistra. E ancora meno l’avere rinfrescato la propria immagine con un tocco di europeismo, che se lo ha accreditato presso le cancellerie del continente, dall’altra parte lo ha allontanato dagli elettori. Il declino delle sue fortune elettorali era forse inevitabile, ma aleggia il forte dubbio che ad accentuarlo sia stata proprio una strategia perdente, se è vero che a Forza Italia non sia stato nemmeno riconosciuto sul piano politico quel ruolo di responsabilità che ha cercato di ritagliarsi in anni di difficile convivenza in maggioranza con il PD e di opposizione morbida, differenziandosi dai toni duri di leghisti e grillini e sospendendo la sua non ostilità verso i dem solo in occasione del referendum costituzionale di fine 2016, fiutandone la bocciatura.
Riepilogando: Berlusconi si è auto-condannato alla marginalità politica, commettendo i seguenti 4 errori: appoggio al governo Monti, successivo sostegno persino alle larghe intese con il PD per l’esecutivo guidato da Letta, opposizione morbida e spesso silente ai governi Renzi-Gentiloni e campagna elettorale europeista per il 4 marzo. Certo, non tutto è andato perduto. Gli interessi aziendali dell’ex premier sono stati tutelati e sicuramente non contrastati dai governi degli ultimi anni e persino quello che sta per nascere verrebbe benedetto dall’esterno da Forza Italia, in cambio di rassicurazioni su Mediaset. Eppure, proprio in ciò consiste il fallimento berlusconiano, ossia nel dovere appaltare ad alleati e “nemici” pubblici la difesa dei propri interessi familiari. Sarebbe stato meglio farlo con propri uomini di fiducia, ma per quello servirebbero i voti. E a Berlusconi mancano da tempo proprio quelli.