Nessun leader europeo è riuscito a dissuadere Donald Trump dal ritirarsi dall’Accordo sul nucleare iraniano, una decisione estremamente impattante sia a livello economico che geopolitico. L’accordo di Vienna, siglato nel 2015, prevedeva la rimozione delle sanzioni economiche che gravavano sull’economia iraniana in cambio della fine del programma nucleare militare.
Per le aziende, americane o meno, il ripristino dell’embargo comporta il ritiro dall’Iran entro 6 mesi. In base al principio americano dell’extraterritorialità, ogni azienda che abbia attività denominate in dollari è tenuta al rispetto del diritto americano, pena esporsi a un’ampia serie di sanzioni: multe esorbitanti – ne sa qualcosa BNP – e/o stretta sorveglianza – di cui ha fatto le spese Alstom.
A livello geopolitico – commenta Olivier De Berranger, Chief Investment Officer di La Financière de l’Echiquier – opponendosi alla principale potenza sciita il Presidente Trump dà una spallata a una situazione già di per sé precaria in Medio Oriente. Del resto, la sua decisione è stata ben accolta dai suoi alleati in quella regione: lo Stato israeliano che sta per festeggiare il suo 70° anniversario e il regime saudita, un regno in piena mutazione. Fino ad ora l’impatto sui mercati finanziari è stato limitato, ad eccezione del petrolio che prosegue la sua ascesa iniziata quasi un anno fa. In caso di escalation non vi è alcun dubbio: assisteremmo nuovamente a un’impennata della volatilità degli asset rischiosi.
È sorprendente tuttavia il contrasto con il dossier coreano. L’incontro tra il dirigente della Corea del Nord e il Presidente degli Stati Uniti, in programma il 12 giugno prossimo a Singapore, è sbandierato quale simbolo dell’annunciata distensione. Questa situazione non era immaginabile qualche mese fa quando i due leader si scambiavano invettive a suon di «Little Rocket Man» e di «cane impaurito» e i mercati temevano una potenziale guerra nucleare… Eppure, l’equazione nordcoreana è lungi dall’essere risolta!