Diritto alla pensione per i Lavoratori Autonomi, “ i dimenticati da tutte le riforme pensionistiche ”, questa petizione ha un valore importante, per tutti i lavoratori autonomi che combattono per i loro diritti.
Nessun cittadino italiano deve essere dimenticato, la pensione è un diritto e le riforme pensionistiche devono essere aperte a tutti.
Digita qui per firmare la petizione: APE SOCIAL per i Lavoratori Autonomi, “I Dimenticati da tutte le riforme pensionistiche”
Di seguito l’appello dei lavoratori autonomi con le loro storie.
Con le seguenti dichiarazioni,
Chiediamo
che venga riconosciuto il Diritto all’accesso della Legge APE SOCIAL e conseguentemente alla Pensione Anticipata . Consideriamo la Legge sull’APE SOCIAL, PARADOSSALE E DISCRIMINATORIA , poiché, visti i pari prerequisiti richiesti per tutte le altre categorie di lavoratori, vengono esclusi senza motivazione le categorie riguardanti i lavoratori Autonomi: COMMERCIANTI , ARTIGIANI ecc.
Il primo prerequisito richiesto per accedere all’APE SOCIAL è di essere iscritti all’AGO (Assicurazione Generale Obbligatoria) di cui fanno parte anche i lavoratori autonomi e la gestione separata. Però poi nei Commi che vanno dal 179 al 186, viene espressamente richiesto lo stato di disoccupazione a seguito di cessazione di rapporto lavorativo. Non si spiega in nessun modo, perché avendo versato gli anni contributivi (AGO) , chi è stato alle dipendenze ha diritto alla Pensione, chi pur essendo stato in precedenza alle dipendenze (anche per molti anni contributivi), essendosi messo in proprio come lavoratore autonomo, non può usufruire allo stesso modo di tale diritto.
“ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” Costituzione italiana articoli: 1-2-3-4
Seguono alcune delle tante dichiarazioni di Lavoratori Autonomi a cui è stato negato il Diritto alla Pensione
La storia di Maurizio artigiano di 65 anni
Sono stato lavoratore dipendente e poi autonomo, ed ho lavorato per un certo periodo all’estero, in Francia per la precisione, e perso quindi degli anni di versamenti.
Tornato a Roma ho aperto una posizione come impresa individuale, una partita IVA ed ho cominciato a lavorare. Tutto è andato ottimamente fino a quando la crisi si è cominciata a far sentire con tutte le difficoltà per noi artigiani senza nessun tipo di tutela.
Un brutto intervento rende difficile il mio lavoro
Nel 2006, lavorando, mi sono procurato una brutta ernia L5-L6 e sono stato operato nel mese di luglio.
Nel frattempo, non solo ero impossibilitato a lavorare, ma sono dovuto ricorrere alla terapia del dolore in quanto mi era insopportabile sia rimanere in piedi che seduto o sdraiato, sono stato per oltre un mese con una sacchetta di morfina collegata con un ago e che ogni settimana veniva rinnovata dai medici.
Nel mese di novembre ho potuto riprendere il lavoro, tornando, anche se sconsigliato totalmente dal chirurgo, a salire sui tetti con pesi (borsa dei ferri, antenne, strumenti e quant’altro) perché se volevo vivere quello era il mio mestiere.
Richiesta di invalidità, il Fisco non accetta giustificazioni
Dietro consiglio del commercialista poi ho dovuto fare richiesta di invalidità, primo perché a suo dire mi spettava e secondo perché se così non avessi fatto, avendo avuto un fatturato prossimo allo zero, non ho lavorato da fine marzo a fine novembre, sarei passato immediatamente ad un controllo fiscale in quanto il mio fatturato era chiaramente ben inferiore a quello dell’anno precedente.
Sembra che al fisco poco importasse dei certificati che potevo fornire, dell’operazione subita e quant’altro.
Fatta la domanda la risposta è stata la stessa descritta nel suo articolo: “non sono risultate infermità tali da determinare una assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa” sia in prima istanza che al ricorso. In pratica mi è stato suggerito di cambiare e trovarmi un altro lavoro e capisce che a 54 anni, quanti ne avevo allora, ricominciare da capo se si ha famiglia, non è proprio possibile.
A dicembre 2016 costretto a chiudere
Quindi sono andato avanti per altri 10 anni, a dicembre del 2016 ho chiuso tutto, sia perché il lavoro era praticamente prossimo allo zero, sia perché in questi anni, oltre al problema della schiena, l’operazione di cui le ho parlato poco fa, si era aggiunta una importante artrosi alle ginocchia che mi impediscono di salire su una scala e continuare a fare il lavoro che facevo.
Ho fatto domanda all’INAIL affinché mi venga riconosciuta come derivante dal lavoro che svolgevo e dopo quasi un anno ancora aspetto una risposta, o meglio la risposta c’è stata con un appuntamento che mi è stato assegnato tramite raccomandata nel mese di marzo, ma il giorno prima della visita ho ricevuto una telefonata dall’INAIL dove mi è stato chiesto di non andare per problemi di reperibilità del loro medico ed ancora sto aspettando una loro comunicazione in merito.
Pensione anticipata APE Sociale rifiutata “non occupato” è diverso da “disoccupato”
Ho fatto domanda per l’Ape sociale, con 65 anni di età e circa 35 anni di contributi rientravo. Anche qui l’iter è stato lo stesso, ho scoperto di essere “non occupato” che è ben diverso dall’essere “disoccupato”. Non mi spettava nessun tipo di ammortizzatore sociale e di conseguenza non avendo avuto questo sussidio dallo Stato non avevo diritto alla Pensione anticipata.
A tutt’oggi non lavorando, sono riuscito a trovare un piccolo impiego a tempo determinato, fino a novembre 2018, ho cominciato a metà marzo, per poter andare avanti visto che i pochi soldi che ero riuscito a mettere da parte si stanno esaurendo e devo continuare a vivere.
Secondo l’INPS dovrei andare in pensione a novembre 2019 sempre che non passi la legge sull’aspettativa di vita, in quel caso andrei a maggio 2020 quando avrò 68 anni, visto che sono del 1952, per un importo lordo di circa 850 euro mensili.
La prima persona a cui sto parlando della mia situazione è lei. Magari serve a smuovere qualcosa non solo per me, ma anche per i molteplici artigiani che si trovano nella mia identica situazione.
La storia di Claudio, una vita di sacrifici senza tutele, costretto a chiudere la sua attività
Sono un ex autonomo che ha chiuso il negozio per CRISI, dapprima ancora per quasi un anno, causa ben 6 operazioni chirurgiche per peritonite acuta, invalido civile del 46% ( ma non serve a nulla per avere un piccolo contributo di ammortizzamento sociale.) Quindi nell’anno in cui ero in malattia ho chiuso il negozio, senza alcun ammortizzatore sociale, senza Mutua, continuando a pagare tutte le spese di gestione, tasse comunali e tutto ciò relativo alle spese della ditta.
Ora è dal 2014 che ho chiuso con la sede fissa, oggi ho 42 anni di contributi versati, iniziando a lavorare dall’età di 15 anni e continuo a pagare i contributi INPS per non andare con la pensione di vecchiaia.
Con la CRISI ho dovuto chiudere per forza maggiore, inoltre con la liberalizzazione delle licenze hanno fatto il resto, i centri Commerciali e le grosse catene, ci hanno messo in ginocchio, senza contare la moneta unica dell’Euro, che già dalla fonte, della produzione e magazzino all’ingrosso, ci siamo trovati i prezzi tutti raddoppiati, indi affitti e tutte le spese di gestione, tasse Comunali etc.etc…
Si parla sempre di diritti per i dipendenti o ex dipendenti licenziati, ma per noi? Pare che nessuno ci prova !!! Siamo i dimenticati !
La storia di Rino, lavoratore autonomo che lotta contro tutti
Leggi e Burocrazia Italiana: V E R G O G N O S O !!!
L’avventura che sto per raccontarvi non posso lasciarla passare inosservata, nella speranza che qualcuno dei destinatari mi dia un briciolo di attenzione e mi aiuti a fare qualcosa per dimostrare questa ennesima vergogna tutta della politica italiana!!!
Dicembre 2016: essendo un lavoratore autonomo (Tecnico Elettronico e Programmatore Informatico iscritto presso la Camera di Comm. di Torino sin dal 1997, da circa 4 anni con una dichiarazione saltellante a zero utili, anche a causa di una non bella e doppia patologia ), decido di chiudere l’attività poiché il mio utile mensile (contributi , iva, debiti ecc. pagati), non superava i 200 €, e non credo di essere stato l’unico a chiudere i battenti nell’arco di questi ultimi anni.
8 Febbraio 2017: Da circa 6 anni sofferente di SINDROME DI MENIER, e con 3 Ernie Lombosacrali (L1-L3-L5), consigliato anche dal mio Medico curante, decido di fare domanda all’Inps per cercare di ottenere l’uscita dal lavoro per inabilità. Dopo circa 10 gg. sono stato convocato presso la sede Inps di Corso G. Cesare per la visita medico legale. Dopo aver visionato la cartella con la varia documentazione medica (comprensiva anche di circa 10 ricoveri in Pronto Soccorso con ambulanza non contando quante volte sono stato accompagnato privatamente da amici e familiari), il risultato verbale del medico legale è stato: “Lei, con queste patologie ha sicuramente diritto all’assegno su base contributiva, però tenga presente che l’esame deve prima passare ed essere validato in commissione a Roma”.
Il 22 febbraio 2017: ricevo una lettera raccomandata in cui mi viene rifiutata la domanda con il motivo che: “non sono risultate infermità tali da determinare una assoluta e permanente impossibilita’ a svolgere qualsiasi attività lavorativa”. Ho capito così che devo essere quasi vicino alla fossa per avere forse qualcosa.
Prima settimana di maggio 2017: ho quasi 64 anni, essendo a conoscenza che i nostri signori politici avevano varato il decreto per l’Ape Social, ed essendo senza lavoro da più di 4 mesi, mi sono recato presso il più vicino patronato INCA di Torino, per chiedere informazioni in merito, e la risposta è stata che non sapevano ancora niente di questa legge. Quindi mi sono rassegnato ad aspettare qualche giorno ancora e, successivamente, mi sono recato anche al patronato di piazza Rebaudengo (sempre a Torino) per vedere se almeno li sapevano darmi qualche informazione , ma la risposta è stata la stessa di prima ed anche peggio negli atteggiamenti. Per cui a distanza di una settimana, mi sono recato direttamente all’ufficio INPS Corso G. Cesare -TO Nord, per chiedere informazioni in merito…
Per prima cosa ho chiesto un estratto contributo della mia posizione, dopo ho chiesto all’impiegato se c’erano novità sull’Ape Social, e NON MI CREDERÀ NESSUNO SE DICO ED AFFERMO CHE L’IMPIEGATO ALLO SPORTELLO NON SAPEVA NEMMENO COSA FOSSE L’APE SOCIAL!!!… per correttezza sottolineo che non ero allo sportello pensioni.
Siamo arrivati alla fine di maggio: ed un’amica di mia moglie fa sapere che lei la domanda dell’Ape Social l’aveva già preparata presso un CAF della UIL di Torino. Nella prima settimana di giugno mi presento al CAF della UIL per chiedere informazioni, e la persona che si occupa delle domande di pensione (gentilissima) mi dice che è vero che aveva iniziato a raccogliere la documentazione attestante i prerequisiti, però che non poteva ancora fare alcuna domanda perché l’INPS non aveva ancora aperto sul portale il programma.
21 giugno 2017: mi ripresento alla stessa sede della UIL, questa volta la domanda si può inoltrare ma, a quanto pare sul portale dell’Inps, non sono menzionate correttamente le procedure riferite ai LAVORATORI AUTONOMI, per cui la signora (gentilissima) non riesce ad andare avanti con la domanda.
Nella stessa serata del 21 giugno (da informatico non mi do per vinto), mi metto al computer e con il PIN personale entro nel portale INPS per leggermi attentamente la normativa sul trattamento dell’Ape Social e nella pagina relativa alle indicazioni in merito e precisamente
A CHI È RIVOLTO, vedi questo link: https://www.inps.it/NuovoportaleINPS/default.aspx?itemdir=50302&lang=IT dove mi accerto e leggo che è compresa anche la categoria dei lavoratori autonomi.
Quindi procedo con il nodo relativo alla compilazione della domanda (senza sapere però che ancor prima bisognava procedere con la cosiddetta verifica per il riconoscimento delle condizioni di accesso alla pensione anticipata APE Social, purtroppo da nessuna parte spiegato. Accettata comunque la compilazione della domanda da parte dell’INPS, ho aspettato fino al 4 settembre 2017 per iniziare a chiamare al call center dell’INPS e chiedere novità e soprattutto se la domanda fatta era a posto (ho chiamato al call center dal 4 settembre al 4 dicembre 2017 e mi sono recato tre volte sia presso la sede INPS di Corso G. Cesare che in quella di Via XX Settembre a Torino), la
risposta è stata sempre: “Deve aspettare, la sua domanda di pensione è in elaborazione“.
Sono già da circa un anno senza reddito, e quasi ogni giorno mi sono collegato tramite PIN al portale dell’INPS per controllare se c’era una risposta alla domanda in questione.
Il 12 dicembre mattina mi ritrovo la domanda respinta con il motivo: “NO DIRITTO” e nessun’altra spiegazione. Per cui l’indomani mattina 13 dicembre, mi reco direttamente alla sede dell’INPS per chiedere le effettive motivazioni. L’impiegato allo sportello non avendo possibilità di vedere al computer la motivazione, ha chiamato per telefono un responsabile che esplicitamente risponde:
“la mia domanda è stata respinta poiché sono della categoria AUTONOMI e non percepisco alcun ammortizzatore sociale, quindi non spettante. Non sto a spiegare qui (da padre responsabile) le emozioni negative di quell’istante”.
Subito dopo, l’impiegato mi consegna direttamente la risposta di reiezione nero su bianco, che allego a questa mia dichiarazione. In data odierna 16/04/2018 mi sono recato presso la signora della UIL per chiedere se c’era la possibilità di fare ricorso, la risposta è stata che non sapeva con quale motivazione fare il ricorso, e se lo ritengo di farlo tramite un legale. Io per il momento non sono in condizioni di mantenermi un legale.
Che differenza c’è fra lavoratore dipendente e autonomo, perché gli autonomi non vengono tutelati?
La mia domanda a tutti i destinatari (Riferita alla legge sull’APE SOCIAL):
Mi spiegate per cortesia quale differenza c’è tra un lavoratore dipendente e uno autonomo con 63 anni di età, che ha maturato 30 e più anni di contribuzione, e che si trova senza occupazione/reddito già da tempo?
Mi hanno spiegato che è vero che sono tra le categorie dell’APE SOCIAL, ma non rientro perché non percepisco un ammortizzatore sociale. Ma scusate, se è risaputo che a noi sventurati autonomi non spetta né disoccupazione né mobilità e tanto meno la cosiddetta NASPI ! ! !.
Comunque, a quanto pare la preferenza in questo caso va a chi percepisce qualcosa diversamente da chi non percepisce niente?
Ma dove vivono questi fautori di leggi paradossali e discriminatorie? Oppure è l’INPS che ha raggirato per non dare soldi?
Ho iniziato a lavorare già dal 1970 e anche da emigrato in Olanda anche se per poco, purtroppo per me, tra la fine del 1970 e diversi anni del 1980 ho perso degli anni di contribuzione e comunque ho versato per 33 anni di cui circa 15 alle dipendenze, a maggio prossimo compio 65 anni.
Molti politici italiani e vari, asseriscono che è una fortuna che siamo in Europa… Io voglio dire a tutte queste persone che i diritti del cittadino europeo io li ho visti e vissuti già quando sono stato in Olanda negli anni 70. In Italia ci dobbiamo ancora arrivare ad allinearci a quel periodo.
Io non mi ammazzo …………..
Reputo che tutto ciò sia un’offesa alla dignità della mia persona e un attentato alla mia esistenza e a ragione ne chiederò tutti i possibili danni morali e materiali.