L’evoluzione del mondo del lavoro che cambia può portare a situazioni dai contorni poco chiari. Ci sono casi in cui aprire una partita IVA è un escamotage a cui i datori di lavoro ricorrono per risparmiare sui contributi pretendendo però di fatto una prestazione da dipendente subordinato. La lotta alle false partita IVA (secondo le stime ce ne sono almeno 600 mila) prevede alcuni paletti ma restano situazioni border line che sfuggono ai controlli e che però dovrebbero mettere in guardia chi cerca lavoro.
Mi hanno chiesto di aprire la partita IVA: è una truffa?
Purtroppo il numero di situazioni di questo tipo comporta una diffidenza verso il lavoro a partita IVA non sempre giustificata. La richiesta di apertura della partita IVA spaventa e suona come una truffa. Ma quando invece il lavoro autonomo per un committente potrebbe essere considerato come una possibilità concreta?
Se il futuro datore di lavoro è una piccola impresa emergente innovativa che richiede lo sviluppo di uno specifico progetto creativo da realizzare in autonomia, la risorsa sarà selezionata verosimilmente a partita IVA.
In caso di vendita e simili dovete valutare il grado di autonomia nello svolgimento del lavoro. Se in effetti l’azienda si limita a fornirvi gli strumenti iniziali può essere coerente la richiesta di apertura della partita IVA.
Se il datore si pone come un cliente anche c’è margine per una collaborazione a partita IVA: in questo caso quello che conta è il prodotto finito e non come viene realizzato.
Da ultimo si potrebbe tenere in considerazione la collaborazione a partita IVA in caso di un’esperienza lavorativa “di passaggio”, ad esempio quando si esce da un periodo di disoccupazione o ci si inserisce in un settore professionale nuovo con prospettiva di crescita e carriera.
Se al colloquio di lavoro vi hanno imposto l’apertura della partita IVA e non sapete se accettare scrivete per una consulenza o un parere gratuito alla nostra redazione: [email protected]