Arriva un’altra storia che possiamo definire inquietante e che ha come protagonista una cartomante che avrebbe percepito 7 cent al minuto durante un anno di attività. Siamo ormai abituati alle notizie perlopiù negative sul mondo del lavoro; dipendenti sfruttati o mal pagati o imprenditori che si lamentano di non trovare personale qualificato sembrano quasi all’ordine del giorno.
Un’altra storia di ordinaria follia lavorativa
L’ultima notizia, riportate già da numerose testate come Repubblica, Il Giornale, Ansa etc, ha per protagonista una donna che ha lavorato come cartomante in un call center di Taranto e che ha raccontato alla Cgil le condizioni in cui è stata costretta a lavorare per oltre 1 anno.
Fin qui tutto bene, se così possiamo dire; la cartomante ha raccontato che molta della gente che chiamava aveva solo bisogno di parlare, che facevano domande su salute e amore e per lei quello era diventato un lavoro full time. Se non fosse per la retribuzione. I primi mesi la donna sostiene di aver ricevuto 400 euro mensili con ricarica Postepay poi, però, ottenere lo stipendio è iniziato a diventare sempre più difficile: “il referente con cui mi interfacciavo ha cominciato ad accampare scuse per spiegare le mensilità che saltavano.
Lo sfruttamento e quella giungla che favorisce i nuovi schiavisti
Dopo oltre 1 anno di attività, la donna ha deciso di lasciare il lavoro e raccontare tutto ai sindacati, sottolineando che ad aggi le mancano 2mila euro di arretrati ma che i referenti sono spariti e non rispondono più alle email. Dopo aver creato una falsa email, fingendosi interessata al lavoro per vedere se in quel caso i datori avessero risposto o meno, la ex cartomante ha deciso di farsi giustizia da sola. La storia ha avuto rilevanza nazionale tanto che Andrea Lumino, segretario generale della Slc Cgil di Taranto, ha spiegato come sia fondamentale la necessità di porre fine a questa giungla che favorisce i ‘nuovi schiavisti’ e portare avanti la lotta per chiedere il rispetto dei diritti di tutti i lavoratori. “Si chiederà anche all’ispettorato del lavoro di confermare che quello svolto dalla donna era lavoro assimilabile all’assistenza “in bound”.
Leggi anche: La storia si ripete: imprenditore offre stipendio da 1.100 euro ma non trova nessuno