Obbligazioni subordinate “vietate” ai risparmiatori, giusto privarli di opportunità di guadagno?

I bond bancari subordinati non vengono più venduti ai risparmiatori dopo gli scandali degli anni scorsi, eppure appare illogico un atteggiamento pregiudizialmente di chiusura. Si finisce per privare gli investitori individuali di buone opportunità di guadagno.
6 anni fa
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E’ pioggia di emissioni di obbligazioni bancarie subordinate in questi primi mesi del 2019. Di recente, BancoBPM ha emesso un bond AT1 (“Additional Tier”) con cedola all’8,75%, un “callable” dopo 5 anni, mentre Unicredit ne ha piazzato sul mercato un altro in dollari, con cedola anch’essa abbastanza generosa al 7,296%. La stessa Piazza Gae Aulenti aveva emesso nei mesi scorsi un Tier 2 al 4,875% e un bond perpetuo con cedola all’8%. In un ambiente di tassi a zero, di rendimenti obbligazionari praticamente nulli e quasi sempre inferiori all’inflazione anche per i titoli corporate, queste appaiono opportunità di guadagno incredibilmente allettanti.

C’è un problema: in conseguenza del grado di rischio, non sono accessibili agli investitori privati, ossia ai normali risparmiatori.

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Questi collocamenti stanno avvenendo tra gli istituzionali, cioè banche, fondi, assicurazioni, mai tra la clientela comune. Non esiste un divieto esplicito sul piano legale, bensì un accordo non scritto tra banche, organi di vigilanza e politica, in base al quale le obbligazioni subordinate non vengono più da qualche anno vendute ai risparmiatori. Motivo? Gli scandali bancari esplosi con il salvataggio di quattro istituti minori (Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti) nel novembre 2015, quando proprio i bond subordinati furono azzerati, infliggendo perdite ai possessori, hanno acceso i fari su un prodotto dai rischi elevati e senza che spesso sia stato accompagnato da una sufficiente informazione.

Il paradosso italiano sui bond subordinati

Allora, il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, arrivò a invocare una legge del Parlamento per vietare “sic et simpliciter” la vendita dei subordinati al pubblico. Di fatto, dopo anni di polemiche accesissime e di invettive pubbliche contro le filiali degli istituti, ree di avere spacciato per “sicuri” titoli che non lo erano, le banche hanno deciso di riservare le emissioni di bond solo agli istituzionali.

Troppo alto il rischio di finire nell’occhio del ciclone mediatico-istituzionale, nel caso in cui tali titoli dovessero essere convertiti in capitale o scattassero le altre condizioni negative a carico dei possessori, tra cui il mancato pagamento delle cedole o la loro sospensione. Considerando che i rendimenti offerti appaiono molto allettanti, tuttavia, ciò equivale a privare i risparmiatori di opportunità di guadagno interessanti, fatto salvo che in fase di emissione i titoli debbano essere accompagnati da una informazione adeguata sui rischi.

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L’aspetto curioso è che questi strumenti “ibridi”, a metà tra obbligazioni e capitale azionario, non risultano più accessibili all’italiano comune, il quale può continuare a comprare, però, le azioni bancarie, in sé molto più volatili e rischiose, anche perché nel caso di “bail-in” sarebbero le prime a finire nel mirino del procedimento di risoluzione. Non è un controsenso? Lo è e risulta frutto di una paura malcelata delle banche di essere stritolate dai media nel caso in cui qualcosa andasse storto, nonostante le probabilità di perdere finanche tutto l’investimento sia maggiore proprio con le loro azioni. Vero è, però, che i bond subordinati soffrono di scarsa liquidità, cioè non è facile rivenderli quando lo si vorrebbe, potenzialmente ampliando le perdite a carico dei possessori. Ma più li priviamo di domanda diffusa e più alta la carenza di liquidità a cui vanno incontro in fase di negoziazione.

Nei fatti, i risparmiatori potranno approfittare delle laute cedole solo indirettamente, cioè investendo in fondi che a loro volta acquistano obbligazioni subordinate e riescono a minimizzare i rischi. Magrissima consolazione, dopo che per anni avevano acquistato bond subordinati a rendimenti non dissimili da quelli offerti dalle banche sui bond senior, mentre almeno adesso avrebbero modo di monetizzare il rischio e di valutarlo più adeguatamente, visto l’accresciuto apparato informativo.

Sono i paradossi dell’Italia, dove le istituzioni si sostituiscono al mercato proprio quando esso tenderebbe a funzionare correttamente, mentre prima si giravano dall’altra parte quando i subordinati venivano spacciati per prodotti sicuri e venduti a chiunque, indifferentemente dal profilo di rischio, senza nemmeno un’adeguata remunerazione.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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