Se dovessimo azzardare un paragone, diremmo che la Turchia di oggi somigli molto all’Italia degli anni Ottanta sul piano delle tensioni finanziarie. Ankara ha visto esplodere i rendimenti sovrani sopra il 24% per i titoli a 2 anni e al 20% per i decennali, complice un’inflazione ancora nei pressi del 20%, una lira (stesso nome della nostra vecchia moneta nazionale!) al collasso e capitali in fuga. Sembra un film già visto, seppure la trama sia stata diversa nel nostro caso. Ma la banca centrale turca e la Banca d’Italia restano accomunate dalla perdita di credibilità sui mercati, accusata per una gestione non esattamente efficiente della politica monetaria.
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Per una dozzina di anni consecutivi, tra il 1973 e il 1984, l’Italia registrò tassi annui d’inflazione a doppia cifra, con l’apice toccato nel 1980, quando i prezzi crebbero di oltre il 21%. L’anno successivo, il ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, scriveva al governatore Carlo Azeglio Ciampi, comunicandogli che non avrebbe avuto più l’obbligo di acquistare i titoli di stato andati invenduti alle aste del debito pubblico. Una mossa concordata, evidentemente, per frenare la corsa dell’inflazione da un lato e per indurre i governi a una gestione fiscale prudente dall’altro.
L’unico risultato tangibile di questo “divorzio” fu, però, l’esplosione della spesa per interessi. E la ragione non è difficile da capire: gli italiani non si fidarono degli annunci e nemmeno gli investitori stranieri. In effetti, se guardiamo al differenziale tra rendimenti medi dei bond circolanti e inflazione, notiamo che questo iniziò ad allargarsi, anziché restringersi, dalla seconda metà degli anni Ottanta. In altre parole, gli interessi nominali pretesi dagli obbligazionisti scesero più lentamente dell’inflazione, con la conseguenza che il debito pubblico italiano costò di più, in termini reali.
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Problema di credibilità per le istituzioni italiane
Come mai? Le aspettative d’inflazione delle famiglie non si adeguarono velocemente alla crescita più contenuta dei prezzi, segno tangibile della scarsa fiducia che le istituzioni pubbliche del tempo riscuotevano, compresa la Banca d’Italia, che per un periodo più lungo di un decennio non si mostrò capace di stabilizzare i prezzi, un po’ come la Turchia di oggi che non riesce a contrastare efficacemente l’alta inflazione per via di una politica monetaria incoerente con l’obiettivo dichiarato. Del resto, per quanto ai tempi i mercati dei debiti sovrani fossero sostanzialmente nazionali, non vi fu alcun interesse all’estero per i nostri bond, su cui pendeva una sfiducia diffusa per l’essere denominati in lire, valuta oggetto di frequenti svalutazioni, nonostante facesse parte dello SME, il Sistema Monetario Europeo nato dalle ceneri di Bretton Woods per regolare i tassi di cambio tra le monete del Vecchio Continente.
Come la Germania fregò l’Italia anche con la lira negli anni Ottanta
L’Italia si affacciò agli anni Ottanta con un cambio contro il marco di 467 lire, concludendo quel decennio con uno a 750, cioè registrando il -38%. Una lira, quindi, che perdeva potere di acquisto di mese in mese sul mercato domestico e che si svalutava anche contro le valute estere. Chi avrebbe mai potuto acquistare il nostro debito pubblico a costi in linea con quelli europei? E se è vero che il nostro Paese si distinse in quegli anni per una condotta fiscale più cattiva, del resto questa non era peggiorato tra la prima e la seconda metà del decennio; anzi il fondo era stato toccato proprio a inizio anni Ottanta, quando il disavanzo primario aveva registrato il record negativo del -5,6% del pil.
I timidi e lenti miglioramenti sul fronte inflazione e della gestione fiscale non servirono affatto a contenere la spesa per interessi, nemmeno con il raggiungimento del pareggio primario prima e dell’avanzo dopo. Al contrario, i rendimenti reali esplosero fino a un massimo del 9% nel 1992, ma già a fine anni Ottanta si attestavano al 7%, quando all’inizio del decennio erano su livelli negativi o, comunque, non superarono il 2-3%. La credibilità del governo e di Bankitalia erano andate perdute e il loro riacquisto avvenne solo con la nascita dell’euro. Un dato a cui non si può sfuggire nemmeno oggi, in tempi di dibattiti più o meno seri sul ritorno alle monete nazionali e di bilanci sull’euro.