Elsa Fornero ci riprova. Una delle donne meno amate d’Italia per via dell’omonima riforma delle pensioni con tanto di lacrime in conferenza stampa e che dal 2012 ha fortemente inasprito, specie per le donne, i criteri per uscire dal lavoro, partecipando alla trasmissione Stasera Italia su Rete 4, condotta da Barbara Palombelli, in collegamento ha rilanciato una sua fissa sin da quando debuttò come ministro nel governo Monti: l’imposta patrimoniale. La professoressa, da poco in pensione, ha sostenuto la necessità di intervenire per tassare i patrimoni delle famiglie italiane, preso atto che le disuguaglianze nel nostro Paese siano di molto cresciute negli ultimi anni.
All’estero smaniano per tassare la ricchezza delle famiglie italiane
Secondo la Fornero, in Italia nessun governo è mai nelle condizioni di combattere davvero l’evasione fiscale, perché quando ci prova sul serio, come avrebbe fatto il governo Monti tra la fine del 2011 e l’inizio del 2013, viene accusato di essere un “aguzzino fiscale”. E i frequenti condoni, sostiene, nei fatti incentiverebbero le persone a non pagare le tasse, perché “a qualcuno l’evasione fiscale piace”.
L’ipotesi di una imposta patrimoniale è vecchia e trova molto sostegno a sinistra e tra i sindacati. Parte da una considerazione alquanto elementare: lo stato italiano è parecchio indebitato, ma i suoi cittadini sono mediamente abbastanza ricchi. La ricchezza delle famiglie sfiora i 10.000 miliardi, circa 8,4 volte il loro reddito disponibile, quando in Germania non va oltre 6,1. Ciascun italiano possiede assets per la media di 160.000 euro, più dei 150.000 euro di un tedesco. Da qui, l’osservazione che all’estero riscuote molto successo: anziché chiedere flessibilità fiscale alla Commissione ogni due e tre, l’Italia dovrebbe trasferire risorse dal settore privato a quello pubblico.
Il fallimento già sperimentato del governo Monti
L’Osservatorio Cottarelli sui conti pubblici sostiene, però, che servirebbe una mega-aliquota del 10% sui patrimoni per abbattere il rapporto debito-pil all’80%, pur riconoscendo che si tratti di un’ipotesi impraticabile. Perché? Il 60% della ricchezza degli italiani è costituita da attività reali (immobili, terreni, preziosi, etc.), per i quali è molto difficile riscuotere denaro. E anche nel caso della ricchezza finanziaria, come le azioni e le obbligazioni o i conti bancari, imporre una tassazione non marginale sarebbe un esercizio più facile a dirsi che a farsi, visto che presupporrebbe la necessità per i risparmiatori di disinvestire almeno parte degli assets per ottenere la liquidità occorrente a pagare il fisco.
Non vogliamo nemmeno aprire il dibattito sulle conseguenze nefaste che una simile scelleratezza avrebbe sull’economia italiana. La Fornero dovrebbe ricordare, ad esempio, che il governo di cui fece parte una patrimoniale indirettamente la impose, stangando diversi beni e attività e introducendo l’imposta di bollo sui conti correnti, ripristinando l’IMU sulle prime case e inasprendola sulle seconde, imponendo una tassa sulle imbarcazioni e aumentando il bollo sulle auto di grossa cilindrata. E ciliegina sulla torta: tetto di 1.000 euro per il contante. Risultato? Il pil crollò di oltre il 4% nel biennio 2012-’13 e il rapporto debito/pil, anziché scendere, esplose da un tendenziale 120% fino a un massimo del 133% negli anni seguenti.
No, l’Italia non ha bisogno di una patrimoniale e deve evitare con tutte le sue forze di riproporre idee come quella che nel 1992 saccheggiò i conti degli italiani senza preavviso con l’introduzione retroattiva di un prelievo forzoso dello 0,6%. La Fornero dice anche cose condivisibili, per quanto impopolari, quando difende la sua riforma delle pensioni, ma dimostra da tempo di non avere imparato la lezione del suo governo fallimentare da ogni punto di vista, cioè non ha compreso che il crollo della Seconda Repubblica e la perdita definitiva di ogni credibilità della classe politica sono dovuti a quell’esperienza terribile e dannosa sul piano economico, quanto infruttuosa in termini di risultati.