Il Treasury a 10 anni è sceso all’1,63%, ai minimi da 3 anni e perdendo oltre 160 centesimi rispetto a novembre, quando risultava rendere il doppio, cioè circa il 3,25%. E cosa ancora più interessante sul piano dell’analisi, lo spread con la scadenza a 2 anni risulta ridottosi a soli 5 punti base (0,05%), visto che il Treasury a 2 anni offre al momento l’1,58%. L’appiattimento della curva sul tratto 10/2 anni si mostra ai massimi dal 2007, quando precedette di alcuni mesi l’arrivo della recessione per l’economia americana.
Se andiamo a verificare il “breakeven” tra il Treasury a 5 anni con cedola fissa e quello sulla medesima scadenza con cedola legata all’inflazione, anche in questo caso notiamo una discesa ai minimi da 3 anni e sotto l’1,40%. Questo preluderebbe ad aspettative d’inflazione calanti per il medio-lungo termine e nettamente al di sotto del target del 2% fissato dalla Federal Reserve.
Ecco perché il Treasury s’impenna dopo la svalutazione del cambio cinese
Lo sgonfiamento della curva dei tassi non è certo prerogativa dell’America, anzi essa si mostra qui molto più elevata rispetto a Europa e Giappone. Il Bund a 10 anni segna oggi, ad esempio, l’ennesimo record minimo, offrendo un rendimento inferiore al -0,60%. E non è un caso che stia accadendo sulle voci di un imminente taglio dei tassi in Svizzera, finalizzato a far defluire capitali ed evitare così l’ulteriore rafforzamento del franco. Come vi avevamo anticipato nei giorni scorsi, un intervento della Banca Nazionale Svizzera esiterebbe come effetto il calo dei già infimi rendimenti tedeschi e un probabile allargamento dello spread con i BTp, già in corso con la crisi di governo.
Petrolio sotto 60 dollari, rendimenti globali giù
Il quadro si completa con la discesa del petrolio ben sotto i 60 dollari.
Cambio euro-dollaro verso 1,20 con il petrolio sotto 60 dollari?
I rendimenti americani in forte calo si stanno trascinando dietro anche quelli delle obbligazioni sovrane e corporate emergenti. I bond emessi dalle società private in valute forti su questi mercati rendono mediamente il 4,25%, circa l’1,50% in meno rispetto a novembre, quando i rendimenti americani avevano toccato l’apice. Possono respirare anche i titoli di stato turchi, malgrado le bizzarrie del presidente Erdogan sulla banca centrale. E se la Fed fosse costretta a continuare a tagliare i tassi e già dal prossimo board il governatore Jerome Powell userà toni più accomodanti, la curva a stelle e strisce non farà che sgonfiarsi, avvicinandosi ulteriormente ai livelli europei e nipponici, magari in concomitanza a una risalita del cambio euro-dollaro.