Uber, la società che consente ai passeggeri di godere di un trasporto privato attraverso apposita prenotazione via app, ha emesso giovedì scorso un bond da 1,2 miliardi di dollari e con cedola 7,50%, scadenza 15 settembre 2027 (ISIN: USU9029YAC40). Il riscontro del mercato è stato positivo, con ordini pari a 2 miliardi, tanto che il giorno successivo il rendimento delle obbligazioni risultava sceso al 7,29%, grazie al prezzo salito in area 101. Si è trattato della seconda emissione di Uber dopo quella dell’ottobre 2018, ma la prima dopo l’IPO da 8 miliardi del maggio scorso.
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Con i proventi dell’operazione, Uber intende finanziare l’acquisto per 3,1 miliardi di dollari di Careem, società di sharing per il trasporto pubblico e con sede a Dubai, Emirati Arabi. Il deal dovrebbe concludersi entro il primo trimestre del 2020 e non è detto che la società americana non abbia bisogno di emettere un secondo bond a tale riguardo, nel caso in cui gli azionisti dell’asiatica non accettassero di regolare l’accordo anche con scambi azionari. In tal caso, emetterebbe anche 1,7 miliardi di dollari di obbligazioni convertibili.
Per Uber è stato un successo. Il bond ha ottenuto il rating “CCC” da parte di Standard & Poor’s e “B3” di Moody’s, rispettivamente 7 e 6 gradini sotto l’ultimo gradino “investment grade”. Stiamo dicendo, cioè, che il debito appena collocato sul mercato è del tipo “junk” o “spazzatura”. Non potrebbe essere altrimenti, visto che nella sua storia decennale, la società non ha ancora maturato un solo dollaro di profitto e ancora avverte che chiuderà i bilanci con il reddito operativo in rosso e bruciando cash per altri 3 esercizi.
Rischi del bond Uber 2027
Il bond Uber a 8 anni verrà verosimilmente inserito negli indici SPDR Bloomberg Barclays High Yield Bond ETF e l’iShares iBoxx $ High Yield Corporate Bond ETF. Ciò consentirà ai suoi obbligazionisti di beneficiare di investimenti più cospicui e riguardanti il comparto “junk”. D’altra parte, gli stessi indici inizierebbero ad avvertire il peso di Uber sul mercato obbligazionario. Entrambi hanno guadagnato la media del 7,5% quest’anno, giovandosi del rally dei bond più rischiosi per la caccia al rendimento scatenatasi nel mondo. In media, i “junk” in dollari offrono il 5,56%, il 2,15% in più dei “BBB”, il comparto meno sicuro degli “investment grade”.
Perché i bassi rendimenti delle obbligazioni “spazzatura” sono un’insensata follia
Queste obbligazioni Uber appaiono una scommessa sulla redditività futura dell’azienda, ovvero sulla sua capacità di maturare utili dopo una lunga fase di investimenti, seguendo un po’ il destino di altri colossi nati online, come Facebook e Amazon. Ma i rischi non mancano. Sul piano normativo, molti stati nel mondo si stanno muovendo per regolare il settore del trasporto, stringendo le maglie che hanno ad oggi consentito a Uber di dribblare le norme a cui sono sottoposti, ad esempio, concorrenti come i taxi. E così, da pochi giorni la California ha deciso che gli autisti della società debbano essere inquadrati come dipendenti e non più come collaboratori esterni, un provvedimento che alza i costi del lavoro e che, se imitato altrove, porterebbe almeno ad allontanare ulteriormente l’appuntamento con il profitto.
Un altro rischio associato all’emissione riguarda la natura dell’investimento. I titoli “spazzatura” tendono a performare peggio nelle fasi economiche avverse e se l’economia americana stesse davvero dirigendosi verso la recessione dopo oltre un decennio di crescita ininterrotta, pagherebbero pegno più degli altri. Infine, per un investitore dell’Eurozona esiste sempre il fattore cambio da tenere sott’occhio.