Risulta da assoggettare a tassazione la plusvalenza derivante dalla vendita di un’azienda con costituzione di una rendita vitalizia. Inoltre non costituisce ipotesi di doppia imposizione la successiva tassazione della rendita nel corso della sua erogazione. Tanto stabilisce la Suprema Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 20746 del 1° agosto 2019.
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La vicenda processuale
L’Agenzia delle Entrate notificava al contribuente un avviso di accertamento in materia di Irpef per l’anno d’imposta 2004 nel quale richiedeva a tassazione la plusvalenza derivante dalla cessione, a favore del figlio, di una farmacia.
Il contribuente presentava ricorso dinanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Roma che lo accoglieva. Successivamente l’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla competente Commissione Tributaria Regionale che, con Sentenza n. 392/04/2012 depositata il 29 novembre 2012, accoglieva le doglienze dell’Ufficio.
Il contribuente presentava pertanto ricorso per Cassazione avverso la predetta Sentenza di appello lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 54, comma 3 e 75 del DPR n. 917/1986 per avere i giudici di seconde cure erroneamente ritenuto che l’imposta sulla plusvalenza derivante dalla cessione d’azienda verso il corrispettivo della rendita vitalizia a favore del cedente debba essere computata sulla base imponibile costituita dalla capitalizzazione, mediante attualizzazione, della medesima rendita e vada imputata all’anno d’imposta nel quale il contratto di cessione è stato concluso.
Tassazione plusvalenza: le motivazioni della Suprema Corte
I Giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto infondato il motivo proposto dal contribuente rigettando il ricorso.
Secondo un consolidato orientamento della stessa Corte (Cass. 08/03/2013 n. 5886, Cass. 11/05/2007 n. 10801, Cass. 22/12/2014 n. 27179, Cass. 13/01/2016 n. 387 e Cass. 11/05/2018 n. 11434) ai fini delle imposte sui redditi risulta tassabile la plusvalenza conseguita nel caso di cessione d’azienda con costituzione di una rendita vitalizia a favore del cedente potendo a tutti gli effetti costituire il corrispettivo per un’alienazione patrimoniale.
Pur avendo un’utilità aleatoria circa il concreto ammontare che sarà nel tempo erogato, la rendita vitalizia ha un valore economico accertabile grazie a calcoli attuariali secondo criteri riconosciuti dall’ordinamento giuridico.
Non può ritenersi contestabile al caso neanche la violazione del principio di divieto di doppia imposizione poiché nella fattispecie in esame si concretizzano due differenti tipologie reddituali: la prima relativa alla tassazione della plusvalenza e configurabile come reddito d’impresa, mentre la seconda configurabile come reddito assimilabile a lavoro dipendente derivante dalla percezione della rendita mensile.
Gli Ermellini si soffermano altresì sull’imputazione temporale della rendita ricordando che ai casi di alienazione d’azienda sia rilevante il momento della stipula del contratto e pertanto l’imputazione per competenza del prezzo pattuito. Il momento rilevante, ai fini impositivi, per la realizzazione della plusvalenza, è dunque quello di perfezionamento del contratto per effetto del consenso delle parti (Cass. 22/12/2014 n. 27179, Cass. n. 20544 del 2013). Non rilevano pertanto, nel caso in esame, il momento di effettiva percezione dei ratei della rendita da parte del contribuente/cedente che sono equiparati a reddito da lavoro dipendente.
Conclusioni: quale tassazione sulla plusvalenza
I Supremi Giudici, respingono il ricorso proposto dal contribuente condannandolo al pagamento delle spese di lite.
Il prezzo di cessione di un’azienda può essere realizzato per il tramite dell’istituzione di una rendita vitalizia a favore di chi cede. In tal caso l’eventuale plusvalenza dovrà essere assoggettata a tassazione quale prezzo di vendita dell’asset venduto con l’ausilio di calcoli attuariali idonei a determinare il valore attuale dei futuri flussi erogati a favore del cedente.
L’effettiva percezione delle singole mensilità della rendita appartengono ad un differente presupposto impositivo e verranno trattate come redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente.
Non bisogna confondere, come ricordato dalla stessa Suprema Corte nella pronuncia in esame, l’oggetto della controversia che riguardava unicamente la richiesta dell’Ufficio di tassazione della plusvalenza patrimoniale e pertanto “… la circostanza che il prezzo realizzato sia stato convenuto nella forma della rendita vitalizia non comporta che il presupposto dell’imposizione della plusvalenza tassata divenga la periodica percezione della stessa rendita, piuttosto che la realizzazione, al momento della conclusione del contratto di alienazione, della contestata plusvalenza”.