I verbali sull’ultima riunione del board BCE, tenutasi il 12 settembre scorso, hanno ufficializzato le profonde divisioni all’interno dell’istituto, con due consiglieri esecutivi su sei ad avere votato contro il varo dei nuovi stimoli monetari e un altro ad avere espresso perplessità. Il governatore Mario Draghi sta concludendo il mandato nel mirino dei “falchi”, il cui fronte si allarga e tenta di ipotecare le prime mosse del successore Christine Lagarde, che s’insedierà tra un paio di settimane.
Draghi scarica sulla Germania la sua frustrazione, ma i “falchi” nella BCE rialzano la testa
Come farà la francese ad accontentare i tedeschi e i loro alleati sempre più spazientiti da anni di accomodamento monetario eccessivo, se il tasso d’inflazione rimane ben sotto il target di “vicino, ma inferiore al 2%”? Se una delle ipotesi a cui si guarda nel medio termine riguarda il mutamento della definizione stessa di stabilità dei prezzi, che verrebbe resa più flessibile, consentendo alla BCE di muoversi in un range d’inflazione attorno al 2%, un’altra proposta appena avanzata dall’agenzia di rating S&P va nella direzione di rendere ancora più facile il cammino dell’istituto, perché esso non sarebbe nemmeno costretto ad ammettere di avere fallito il mandato e di doverlo anche solo leggermente mutare per ottemperarlo.
Si tratta di inserire nel paniere dell’Eurostat anche i costi per la casa sostenuti dai proprietari, che aggiungerebbero all’inflazione attuale un altro 0,3%, avvicinando il rialzo dei tassi. L’agenzia invita la BCE a imitare l’esempio di altre banche centrali, che hanno potuto aumentare il costo del denaro grazie a questo capitolo, assegnando così maggiore peso alla componente non “tradable” dei beni, quelli sui cui prezzi i tassi non incidono e che sono esposti alla concorrenza internazionale.
Germania punterà sui tecnici, Francia ago della bilancia
Questo non significa che mutarne la composizione al solo fine di alterare le scelte di politica monetaria sia un fatto irrilevante, implicitamente segnalando che o la BCE si sia spinta troppo in là con gli stimoli, sottostimando l’inflazione reale nell’area, o che punti a sovrastimarla appositamente per alzare i tassi più in fretta, ma tradendo così il mandato, solo formalmente rispettato. Lagarde non è un’economista, bensì una politica navigata. Sarà forse più capace di Draghi di mediare tra posizioni diverse, ma dovrà fare maggiore affidamento sui tecnici dell’istituto per scegliere gli strumenti idonei sui quali fare leva per centrare l’unico obiettivo assegnatole per statuto. E la Germania punterà le sue carte proprio su questo, cioè cercherà di piazzare al posto giusto persone a sé vicine, come nel caso del consigliere esecutivo che sostituirà la dimissionaria Sabine Lautenschlaeger.
Più importante sarà anche il ruolo del capo-economista, l’irlandese Philip Lane, che si è schierato sinora, però, con Draghi sugli stimoli. Poiché il diavolo si cela sempre nei dettagli, è questi a cui bisognerà rivolgere lo sguardo nei prossimi mesi per capire la direzione che Lagarde vorrà/dovrà assumere per tenere insieme un board, che non può certo continuare ad assistere alla contrarietà dei rappresentanti di ben oltre la metà del pil dell’Eurozona. La partita s’intreccia sin da subito con quella della Commissione europea e che vede i due paesi dell’asse franco-tedesco su posizioni divergenti, man mano che passano le settimane.
Draghi poteva alzare i tassi e ora lascia una BCE divisa e disarmata contro la crisi