Questa azienda guadagna 3.500 dollari al secondo

L'IPO di Aramco ci sarà tra poche settimane e farà sbarcare in borsa l'azienda più redditizia al mondo e anche la più capitalizzata di sempre.
5 anni fa
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L’affare del secolo si farà e tra poche settimane. Aramco sbarcherà in borsa a dicembre, ma la sua quotazione avverrà, almeno in una fase iniziale, solamente al Tawadul di Riad. Il colosso petrolifero statale dell’Arabia Saudita dovrebbe capitalizzare nelle intenzioni del Principe Mohammed bin Salman sui 2.000 miliardi di dollari, per cui basterebbe quotare l’1-2% per incassare 20-40 miliardi. Gli analisti restano divisi sul valore effettivo della compagnia, anche se mediamente le stime si aggirano comunque su 1.500 miliardi.

L’Arabia Saudita annuncia il possibile affare del secolo da migliaia di miliardi

Nei primi 9 mesi dell’anno, l’utile netto registrato è stato di 68 miliardi, -17,9% su base annua, a fronte di un fatturato di 233 miliardi, anch’esso in calo, ma di un più contenuto 6,9%. In pratica, starebbe calando la marginalità, se si pensa che nell’intero 2018 Aramco abbia segnato un utile netto di 111,1 miliardi su un fatturato di 355,9 miliardi. In altre parole, su ogni dollaro incassato dalla vendita di petrolio, il colosso è riuscito a mettere da parte più di 31 centesimi. A conti fatti, ha guadagnato oltre 304 milioni al giorno, quasi 12,7 milioni all’ora, oltre 211.000 al minuto e più di 3.500 dollari al secondo.

Considerando che il pil pro-capite in Italia ammonti a poco più di 29.000 euro l’anno, sarebbe come dire che Aramco riesca a guadagnare ogni secondo più di quanto non faccia mediamente un italiano in 12 mesi, o se vogliamo, che in un anno riesca a fare utili capaci di sostentare quasi 3,5 milioni di italiani. E tutto questo in una fase non brillante per il mercato del petrolio, le cui quotazioni risultano ancora più che dimezzate rispetto all’apice toccato nel 2014. A quotazioni più elevate, sarebbe tutto guadagno per la compagnia, la cui capacità di fare utili non mostra eguali nel mondo.

Timori sulla trasparenza della governance

C’è un dato che dovrebbe farci riflettere.

Le riserve petrolifere saudite sono stimate in almeno 264 miliardi di barili, per cui la capitalizzazione da 2.000 miliardi pretesa dal regno appare tutt’altro che strampalata, consistendo oggi in un utile netto per barile scontato a meno di 7,60 dollari. A titolo di confronto, Exxon capitalizza sopra i 303 miliardi di dollari, a fronte di riserve provate pari a 24,3 miliardi, per cui il mercato la valuta capace di estrapolare da ciascun barile di petrolio ed equivalenti sui 12,50 dollari di utile netto attualizzato.

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A creare qualche dubbio sulle valutazioni sembra essere più che altro la segretezza a cui i dati finanziari di Aramco sono stati sottoposti fino a pochi mesi fa, per cui il mercato non si fida ancora del tutto delle comunicazioni ufficiali o almeno vorrebbe saperne di più. Non aiuta di certo la mancata IPO presso almeno una borsa straniera, come era stato promesso in precedenza. Una quotazione secondaria a Londra, New York o Hong Kong avrebbe il senso di sottoporre la governance alla vigilanza delle autorità finanziarie dei rispettivi paesi. Probabile, tuttavia, che si tratti solamente di un rinvio e che in una prima fase il regno punti a rinvigorire il proprio mercato azionario.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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