Tanto tuonò che piovve. La seduta di giovedì 7 novembre può, a suo modo, essere considerata negativamente storica per l’Italia, perché ha esitato il superamento dei bond della Grecia ai danni dei BTp. Il rendimento decennale italiano ha chiuso all’1,25%, quello ellenico a meno dell’1,24%. Per i mercati finanziari, quindi, il debito pubblico italiano è da ritenersi più rischioso di quello greco. E lo scrive a chiare lettere il Financial Times dopo la pubblicazione delle stime macroeconomiche della Commissione europea, che vede l’Italia fanalino di coda per l’anno prossimo sul fronte della crescita.
L’Italia non sta rispettando gli impegni di bilancio assunti con Bruxelles e anche se i commissari ci “graziano” con ulteriori dosi di flessibilità fiscale, il discorso non cambia: i conti pubblici a Roma non vengono risanati, né è possibile risanarli senza crescita e senza serie riforme di medio-lungo periodo. La Grecia, al contrario, sta incontrando il favore crescente dei mercati, vuoi perché da tempo sta risalendo dagli abissi in cui era precipitata dopo otto anni di recessione anche grazie alle riforme, vuoi anche perché il suo altissimo debito pubblico (al 180% del pil) è per oltre l’80% in mano ai creditori pubblici europei, cioè risulta flessibile, negoziabile e tale da non fare intravedere nuove perdite a carico degli obbligazionisti.
Lo spread con la Grecia si è azzerato e si prevede negativo
Sorpasso anche sui 5 anni
Il decennale non è l’unica scadenza in cui sia avvenuto il sorpasso della Grecia. Anche i BTp a 5 anni hanno reso poco più: 0,45% versus 0,43%. Sul tratto medio-lungo della curva, invece, ancora i rendimenti italiani restano più bassi, ma di poco.
In un certo senso, lo stesso restringimento degli spread a pochi punti era già sintomo di qualcosa di molto negativo per il nostro debito sovrano. Considerate che la Grecia è un emittente speculativo e per questo i suoi titoli di stato non possono essere acquistati né dalla BCE con il “quantitative easing”, né da molti fondi d’investimento privati per statuto.
Dunque, i titoli italiani vengono trattati già sui mercati come se fossero “junk”, anche perché la prospettiva di declassamenti del rating resta concreta, contrariamente ai “sirtaki” bond freschi di promozione da parte di S&P e che da qui a qualche anno al massimo dovrebbero tornare in area “investment grade”. Il rischio che stiamo correndo è di finire in fondo alle classifiche dell’Eurozona anche sul fronte dell’andamento dei bond. Finora avevamo confidato sull’ultima posizione della Grecia, ma adesso la Grecia della situazione potremmo già essere diventati noi.
Spread tra Italia e Grecia sotto 10 punti, pesa il giudizio di Standard & Poor’s