L’agenzia Moody’s ha messo sotto sorveglianza il rating sovrano dell’India, declassando da “stabile” a “negativo” l’outlook dei bond. Nel 2017, la stessa aveva promosso il suo giudizio sulle obbligazioni di stato indiane da “Baa3” a “Baa2”, di fatto avallando le politiche fiscali del premier Narendra Modi, il quale quest’anno ha ottenuto un secondo mandato dagli elettori e ha visto crescere i consensi e i seggi per il suo BJP, partito conservatore e nazionalista. I rendimenti a 10 anni sono saliti dal 6,45% al 6,56% dopo la notizia, ma il nervosismo appare tutt’altro che momentaneo.
In ogni caso, quest’anno il bilancio per il mercato obbligazionario sovrano dell’India resta più che positivo. Il decennale viaggiava al 7,45% e il biennale sopra il 7% a inizio 2019. Da allora, hanno beneficiato del taglio dei tassi da parte della Reserve Bank of India per 135 punti base cumulati, ridotti ad ottobre al 5,15%, il livello più basso da 9 anni a questa parte. A settembre, però, l’inflazione ha rialzato la testa, attestandosi al 4%, in netta accelerazione dal 3,3% di agosto e ai massimi da circa un anno. Ha pesato certamente in negativo la crisi delle cipolle, che ha spinto il governo a intervenire con il divieto assoluto di esportazione.
Il mercato dei bond in India non approfitta più del taglio dei tassi
Rendimenti indiani non più calanti
Se la fiammata rientrasse entro tempi brevi, la RBI disporrebbe di ulteriori margini per tagliare i tassi, cosa che sosterrebbe il mercato sovrano. Le motivazioni addotte da Moody’s per la revisione del rating sono essenzialmente due: ridotta capacità del governo di perseguire con efficacia i suoi obiettivi di politica economica e passo più incerto sul fronte delle riforme rispetto al 2017, quando vi fu l’upgrade.
Non ha giovato nemmeno l’annuncio di una prima emissione in dollari, che sarebbe una prima assoluta per i bond governativi indiani, ma che dopo le furenti polemiche dei mesi scorsi non si sa se sia effettivamente ancora nei radar del governo. In molti temono che indebitarsi in valuta americana porterebbe a conseguenze negative per i conti pubblici nel caso di indebolimento successivo della rupia indiana. Il cambio quest’anno ha perso il 2,8% contro il dollaro, anche se sta recuperando rispetto ai minimi storici toccati a fine settembre. Intimoriscono anche i dati macro, con la crescita del pil nel secondo trimestre di appena il 5%, ai minimi da 5 anni, così come le entrate fiscali si mostrano in calo e la spesa pubblica in tendenziale rialzo quasi a doppia cifra nel primo semestre dell’anno fiscale in corso e che si concluderà nel marzo 2020.
L’India conferma emissioni di obbligazioni sovrane in dollari, economisti e governo divisi
Le soluzioni per evitare un peggioramento del rapporto debito/pil e del rating sovrano sarebbero le privatizzazioni degli assets e politiche fiscali più solide, tenendo a bada la spesa e al contempo allargando la base imponibile per recuperare il gettito perduto con il taglio alle tasse varato in favore delle imprese. In teoria, uscito da poco vincitore dalle urne, Modi avrebbe il tempo per compiere i passi giusti e per allontanare un “downgrade” di cui l’India non avrebbe certo bisogno.