Lo spread BTp-Bund a 10 anni si è riportato ai massimi da tre mesi, con i rendimenti decennali italiani ad essere risaliti sopra l’1,30%. Stavano in area 0,80% a fine settembre. Sappiamo quanto abbiano inciso sia l’andamento internazionale, sia specificità negative domestiche come le tensioni nel governo Conte e la stagnazione dell’economia italiana. Adesso, si materializzano rischi ancora più forti e strutturali per i BTp e che arrivano tutti per via legale. Parliamo essenzialmente di due riforme in corso: quella del Meccanismo Europeo di Stabilità e l’altra sul tavolo della Vigilanza BCE da anni.
L’Europa sta discutendo in questi mesi le condizioni da apporre in futuro per l’accesso all’assistenza finanziaria del MES, il Fondo salva-stati permanente. Chi non avesse i conti pubblici a posto, dovrebbe accettare la ristrutturazione del debito pubblico quale condizione preliminare per ottenere aiuto. E l’ente stilerà una lista su cui inserire proprio i nomi dei titoli di stato a maggiore rischio ristrutturazione, ovvero dei debiti sovrani considerati meno sostenibili. Così facendo, sarebbe come additare ai mercati le “pecore nere” da cui diffidare. E certamente, i BTp sarebbero tra queste.
Fondo salva-stati, ecco perché è una grossa fregatura per i risparmiatori italiani
E la BCE viene pressata da anni dalla Bundesbank perché ponga fine alla valutazione “risk free” dei titoli di stato in pancia alle banche, così da spezzare il legame tra bilanci bancari e quelli degli stati. Gli istituti sarebbero costretti ad accantonare capitale a copertura dei rischi, così come avviene per qualsiasi altra erogazione di credito. E l’ammontare di capitale da accantonare sarebbe legato al grado di rischio segnalato dai rating, per cui il BTp imporrebbe alle banche costi di detenzione maggiori di un Bund o anche dei Bonos. Per questa via, s’inviterebbe con le cattive le banche italiane a liberarsi dei troppi BTp in pancia, facendone salire i rendimenti.
Rischio “sell-off” permanente ai danni dei BTp
Questa seconda riforma è stata sinora bloccata proprio da Italia e alleati e il fatto che alla presidenza della Vigilanza vi sia da mesi l’italiano Andrea Enria, almeno in linea teorica, ci dovrebbe far sperare in un’attenzione maggiore per le ripercussioni che si avrebbero sul mercato sovrano. Ma la Germania ha aperto nelle scorse settimane alla cosiddetta “unione bancaria”, il cui completamento avverrebbe “anche entro fine anno” con l’istituzione della garanzia unica sui depositi nell’Eurozona. Un’apparente buona notizia per le banche italiane, ma la concessione avverrebbe dietro condizioni forti, perché la moneta di scambio che i tedeschi chiederebbero sarebbe proprio l’allentamento dei rapporti tra banche e stati.
Tirando le somme, i BTp rischiano di trovarsi al centro di copiose vendite, se entrambe le riforme venissero approvate. Da un lato, verrebbero segnalati come titoli a rischio di ristrutturazione, dall’altro le banche stesse non potrebbero più acquistarle agli stessi ritmi di questi anni per limitazioni e/o disincentivi regolamentari. Come risultato, si avrebbe un crollo della domanda da parte degli investitori istituzionali, in particolare. I rendimenti esploderebbero e una nuova crisi dello spread sarebbe, a quel punto, nei fatti. Stavolta, però, frutto di un deterioramento strutturale del nostro mercato sovrano, con il rischio non più solo teorico che il Tesoro venga costretto ad alzare bandiera bianca e a chiedere agli obbligazionisti l’allungamento delle scadenze, il taglio delle cedole e/o del valore nominale dei bond. Un disastro per l’Italia, per i suoi risparmiatori e per la sua intera economia.