Bonus rientro cervelli in fuga: è flop? I lavoratori italiani altamente qualificati rientrati perché attirati dalle agevolazioni fiscali resistono in media poco: circa la metà (7033 su 14000) è già ripartito o è pronto a farlo. I numeri sono quelli che emergono dal report realizzato dal Gruppo Controesodo che ha analizzato i dati dell’AdE dopo le misure fiscali che si sono alternate dal 2010 al 2017.
Il bonus rientro dei cervelli in fuga dall’Italia, dunque, sembra avere effetto per poco tempo.
Il trend è andato avanti negli anni: già dal 2012, della platea dei duemila cervelli rientranti ne erano ripartiti cinquecento; nel 2013 coloro che hanno lasciato di nuovo l’Italia sono stati 875 e, anno dopo anno, 1.156, 1.367, 1.525 fino ad arrivare al 2017 quando il numero di chi è partito per la seconda volta l’Italia, è arrivato a 1.610, quasi pareggiando i nuovi rientri (che sono appunto duemila).
Perché i lavoratori qualificati lasciano l’Italia (una seconda volta)?
La seconda partenza dei cd impatriati in genere si deve a tre motivi: può trattarsi di un’offerta di lavoro a cui non si può dire di no, di un rimpianto per aver lasciato alcuni modus operandi dei sistemi stranieri e alcune best practice da cui in Italia abbiamo ancora molto da imparare o ancora, e questa è forse la cosa più grave, il sentirsi traditi dalle agevolazioni fiscali promesse e alle quali invece, di fatto, è risultato impossibile accedere. Alcuni degli impatriati hanno dovuto sostenere una battaglia (vinta) contro l’Agenzia delle Entrate per il pagamento della differenza di bonus fiscale richiesto tra una legge e quella successiva.
Aldilà di alcuni casi mediatici di personaggi famosi e calciatori, il bonus fiscale del rientro dei cervelli è stato studiato per ricercatori e liberi professionisti all’estero.
Il Gruppo Controesodo ha proposto un emendamento al Senato, per estendere a chi è già rientrato la defiscalizzazione. Sarà incluso nel dibattito parlamentare di fine anno.