Nel 2018, sono state vendute quasi 579.000 case e altre 245.100 risultano ancora all’asta, con un caso risalente niente di meno che agli anni Sessanta, mentre oltre il 90% riguarda dagli anni Duemila in poi. E nell’ultimo quinquennio, ben 1,2 milioni di italiani risultano oggetto di pignoramento. Sono i numeri agghiaccianti di Astasy del Gruppo Gabetti, che ci segnalano come le case all’asta in Italia siano diventate un fenomeno ormai abbastanza comune, frutto di una crisi dell’economia che ha portato sul lastrico milioni di famiglie, impossibilitate a pagare il mutuo.
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Prima della riforma in materia del 2015, voluta dall’allora governo Renzi, gli immobili venivano battuti a prezzi mediamente superiori al loro valore commerciale di circa il 10%. Da allora, con l’obiettivo di accelerare i tempi delle esecuzioni immobiliari, si consente la fissazione già in partenza di un prezzo inferiore e rispetto al quale possono essere presentate offerte con base minima d’asta del 25% più basse. Considerando che mediamente il prezzo fissato dal Tribunale sia del 20-25% inferiore al valore commerciale, capirete da soli quanto allettanti stiano diventando le vendite di case all’asta.
Facciamo un esempio: il Tribunale di Roma mette all’asta un immobile dal valore commerciale di 200.000 euro, fissandone il prezzo a 150.000 euro (25% di sconto). La base minima d’asta diventa, quindi, di 112.500 euro (75%). Supponiamo che l’asta fallisca, ovvero che se ne renda necessaria una seconda. A quel punto, la base d’asta scende a 112.500 e il prezzo minimo dell’offerta diminuisce anch’esso a meno di 85.000 euro. Dunque, siamo partiti da 200.000 euro e ci ritroviamo con un immobile venduto, sempre che almeno la seconda asta abbia successo, a circa il 40% del suo valore commerciale.
Affare solo per chi compra
Chi compra fa un grosso affare, non v’è dubbio. E chi vende, vale a dire la banca? Per niente. In moltissimi casi, il prezzo di vendita risulta inferiore al capitale residuo ancora vantato nei confronti del debitore, cioè l’istituto non è riuscito a rientrare nel suo prestito. Attenzione, perché dati i bassi prezzi di mercato che si determinano alle aste giudiziarie, nemmeno i debitori la fanno franca, rimanendo esposti spesso per la differenza (positiva) tra capitale residuo e prezzo di vendita. In media, si stima che il debito non saldato e ancora in capo alla famiglia sfrattata anche dopo la vendita all’asta ammonti a 30.000 euro.
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Oltre tutto, stiamo ragionando come se il prezzo di vendita coincidesse con il ricavo per la banca, ma non è così. Ad esso dobbiamo detrarre le spese legali, di perizia e di intermediazione, la cui incidenza spesso assorbe una quota rilevante dell’incasso. Insomma, le case all’asta stanno diventando un affare per gli acquirenti, contribuendo a deprimere le quotazioni immobiliari. Le occasioni sono diventate alla portata di tutte le tasche, se è vero che oltre i tre quarti delle aste giudiziarie riguardano immobili dal valore commerciale fino a 115.000 euro. Per le banche, invece, il calvario potrebbe durare anni, fino a oltre 10 presso i tribunali al sud.
Per evitare tutto questo, vi sarebbe l’opportunità di ricorrere al cosiddetto “saldo e stralcio”. In pratica, anziché procedere con l’esecuzione immobiliare, perdere mesi o anni di tempo e con ogni probabilità anche denaro, le banche potrebbero accordarsi richiedendo ai debitori il regolamento dei debiti a sconto. Così facendo, perderebbero di sicuro una quota di capitale, ma rientrerebbero nel prestito in tempi brevi e certi, mentre le famiglie eviterebbero ripercussioni creditizie negative e chiuderebbero la vicenda tenendosi l’immobile.