Li chiamavano “BoT people”, ma oggi di ciò resta quasi nulla. Le famiglie italiane, cioè i risparmiatori individuali, alla fine degli anni Ottanta detenevano circa il 60% del debito pubblico domestico, mentre adesso non vanno oltre il 6%. In 30 anni, la percentuale è precipitata di nove decimi. Che cos’è successo? Allora, gli investitori stranieri detenevano appena il 4% del nostro debito pubblico, oggi oltre un terzo, per la precisazione circa il 36-37% stando ai dati della Banca d’Italia. Come mai? In un certo senso, i titoli di stato italiani sono divenuti più appetibili all’estero e per la stessa finanza domestica, molto meno per le famiglie.
Investire in BTp, consigli semplici per famiglie e non “squali” della finanza
Cerchiamo di capire davvero i numeri. I risparmiatori italiani posseggono direttamente poco più di 120 miliardi di euro, a fronte di BTp emessi dallo stato per un controvalore circolante di circa 2.040 miliardi. Pochi, se pensiamo che alla fine del 2018 detenessero complessivamente 480 miliardi di titoli pubblici, cioè di debito italiano ed estero. Insomma, siamo diventati apparentemente molto esterofili e investiamo sui bond degli altri stati? Non è esattamente così. Anzitutto, i rendimenti offerti dai BTp sono diventati negli anni così bassi da non giustificare più la corsa all’acquisto, come nell’era dei “BoT people”. Pagheranno ancora più dei Bund o degli stessi Bonos, ma pur sempre di miseria si tratta.
Investimenti indiretti nei BTp
Ma c’è un dato che dovrebbe farci riflettere: gli italiani hanno investiti all’estero ben circa 1.000 miliardi, quasi un quarto della loro ricchezza finanziaria. E nel complesso, tra Italia e all’estero, detengono sui 380 miliardi di partecipazioni in fondi comuni. Questo significa che l’italiano non si reca più in banca, come 30 anni fa, per comprare titoli di stato, almeno non direttamente. Per lui ci pensano banche, fondi e assicurazioni. In effetti, tra le sole banche e assicurazioni nazionali, parliamo di oltre 800 miliardi di investimenti in BTp, il 40% del debito pubblico negoziabile.
E all’estero di BTp ne posseggono per complessivi 750 miliardi, anche se il dato tende a variare anche di parecchio da mese a mese. Di questi, quasi 400 miliardi sono in mano a fondi, circa 140 a banche e il resto lo detiene la BCE con gli acquisti realizzati tramite il “quantitative easing”. Dunque, molto di questo denaro, che formalmente conteggiamo come se non ci riguardasse, continua ad essere in mano agli stessi risparmiatori italiani tramite gli investitori istituzionali su cui hanno puntato. Basti guardare al dato del Lussemburgo, che pur essendo introvabile sulla cartina geografica, possiede sui 90 miliardi di BTp. Chiaramente, parliamo di fondi e banche che qui hanno sede, spesso per ragioni fiscali, in buona parte per investimenti effettuati per conto di clienti italiani.
Investitori esteri e famiglie lontani dai BTp, ecco le possibili ragioni
Letti così i dati, non sembra più così vero che i risparmiatori italiani siano disinteressati ai BTp, semmai per loro ci pensano gli investitori istituzionali a cui affidano i loro soldi. Questo ci dovrebbe indurre a una maggiore prudenza quando nel dibattito pubblico tendiamo a demonizzare la finanza straniera, accusandola di attentare alla solidità dei nostri bond e al benessere degli italiani, arrivando a ipotizzare soluzioni ad essa sfavorevoli, pur di salvaguardare l’interesse nazionale. La “speculazione” all’estero avviene anche, se non soprattutto, per conto degli stessi italiani. Non siamo più “BoT people”, semplicemente perché l’evoluzione dei mercati finanziari ci consente di non assumerci più rischi diretti e di inserire i BTp in portafoglio attraverso soluzioni di diversificazione degli investimenti.