La presidenza di Alberto Fernandez debutterà solo con il giuramento del 10 dicembre prossimo, ma il successore di Mauricio Macri ha già le idee chiare sui primi passi da muovere come capo dello stato, lasciando trapelare l’intenzione di tenere tavoli di confronto separati con i creditori privati (obbligazionisti) e il Fondo Monetario Internazionale. E l’uomo ha dichiarato nei giorni scorsi che non intende ottenere gli 11 miliardi di dollari del pacchetto di aiuti per 56 miliardi, stanziato un anno e mezzo fa e già utilizzato per 45 miliardi.
Bond Argentina, rischi non uguali per tutti dopo il default del 2001
Ma gli aiuti dell’FMI non sono solo una questione di entità. Fernandez punta a strappare all’istituto di Washington le migliori condizioni possibili per la restituzione dei prestiti già incassati e ritiene che avviare i colloqui separatamente da quelli che terrà con gli obbligazionisti possa incrementare il suo potere negoziale. La ristrutturazione dei 100 miliardi di dollari di bond emessi sui mercati internazionali è ormai una certezza. Restano da fissare i termini a cui essa avverrà, ma avverrà.
Non a caso, i titoli del debito sono precipitati negli ultimi 3 mesi e mezzo a livelli infimi, scontando dopo la vittoria già alle prime di agosto del candidato peronista un qualche taglio sostanzioso del valore nominale (“haircut”). Il bond con scadenza nel lontanissimo 2117 prezza ormai a meno di 42 centesimi e offre così un rendimento del 18%, pur essendo stato emesso solamente due anni fa con cedola del 7,125%. Se i titoli in dollari ed euro sono crollati, quelli in pesos non sono da meno, anzi nelle settimane tra fine ottobre (dopo la vittoria di Fernandez già al primo turno delle presidenziali) e oggi hanno accusati cali fino ai due terzi. A differenza dei titoli rivolti ai mercati esteri, infatti, quelli domestici non prevedono alcuna garanzia per i possessori e, dunque, possono anche essere azzerati dal governo senza troppe cerimonie da un momento all’altro.
Creditori si alleano contro il governo argentino
Per evitare il ripetersi di quanto accadde dopo il default di fine 2001, quando i creditori dovettero attendere fino a 9 anni per siglare accordi definitivi con Buenos Aires sulla ristrutturazione dei bond e quelli in minoranza dovettero prendere le vie legali per ottenere ragione al Tribunale di New York solo nel 2014, stavolta gli obbligazionisti stanno giocando d’anticipo e al fine di presentarsi alle trattative con Fernandez con il più alto potere negoziale possibile, già risultano essersi creati quattro gruppi, attorno ai quali si sono radunati tanti creditori in rappresentanza di decine di miliardi di dollari. Il più noto è capeggiato da Gramercy, il fondo attivo sui mercati emergenti, il quale ha già studiato alcune proposte da avanzare al nuovo presidente dopo l’insediamento.
Tra di esse, compare l’accettazione di un “roll-over” di 5 anni, cioè di un allungamento quinquennale delle scadenze, purché non si parli di “haircut”. Insomma, il valore nominale dei bond sarebbe lasciato intatto, mentre le date a cui verrebbero rimborsati si sposterebbero di 5 anni più in là. Difficile escludere, tuttavia, un taglio almeno delle cedole, così da consentire all’Argentina di respirare nei prossimi anni, abbassandosi le emissioni necessarie per onorare le scadenze. Rispetto alla presidenta Cristina Fernandez, però, il presidente eletto segnala maggiore apertura al confronto. E questo resta al momento l’unico serio motivo di conforto per gli obbligazionisti.
Obbligazioni dell’Argentina verso ristrutturazione via “haircut”?