La crisi a Cuba accelera la fine della doppia moneta: si inizia a pagare solo in pesos

Niente pagamenti in pesos convertibili (CUP) in due store a Cuba, dove la banca centrale inizia a transitare l'economia verso un'unica moneta. Saranno dolori (necessari) per gli abitanti dell'isola.
5 anni fa
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In due store di Cuba, esattamente Centro Comercial Almendares e 5ta y 42, entrambi nella capitale L’Avana, in forma sperimentale il resto sarà dato solamente in pesos (CUC) e non più in pesos convertibili (CUC). La notizia è stata diffusa nei giorni scorsi dalla banca centrale, che punta così a transitare l’economia comunista verso un’unica moneta, abbandonando il sistema duale degli ultimi decenni. Ad oggi, i cubani possono effettuare i pagamenti in pesos e in pesos convertibili. Un peso convertibile o CUP vale 24 pesos ed è fissato equivalente a 1 dollaro.

Dal 2004, però, la banca centrale non copre più i CUP con dollari USA al 100%, per cui non si conosce quanta valuta convertibile effettivamente sia ormai assicurata dalle riserve, sebbene tutti sappiano che certamente un dollaro USA valga di più di un CUP.

A ottobre, già le autorità avevano consentito la vendita di elettrodomestici direttamente in dollari, mentre a novembre è arrivato il divieto di importazioni di CUP. Quello relativo alle esportazioni, invece, è in vigore dal 2012. Con questo ulteriore passo, quindi, si va verso l’abbandono definitivo della doppia moneta, con i turisti stranieri sinora a poter scambiare le loro valute nazionali con i CUP e non anche con i pesos locali.

Lo stato vende ai privati CUP a un cambio di 25 pesos, mentre li riceve in pagamento a 24 pesos, per cui è come se imponesse una tassa sulle loro detenzioni. E dal 2004, sui dollari in contanti depositati in banca viene applicata un’imposta del 10%, la quale alla luce dei pagamenti in valuta americana, ormai consentiti apertamente nei negozi, appare ingiusta e, comunque, la banca centrale continua a difendere come reazione all'”imperialismo americano”.

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La fine del CUP non sarà indolore per i cubani

Il passaggio dalla doppia moneta ai pagamenti esclusivamente in pesos locali non sarà affatto semplice e indolore.

Se ne parla da 10 anni e solamente in questi mesi si sta accelerando in tal senso, a causa del collasso economico e finanziario del Venezuela, che ancora quest’anno avrebbe esportato sull’isola petrolio semi-gratuito per 900 milioni di dollari. Il cambio tra CUP e dollaro USA è troppo forte e serve indebolirlo, oltre che eliminare le distorsioni provocate dalla doppia circolazione. Tuttavia, questo significa un aumento dei costi per i beni importati e Cuba già oggi presenta una bilancia commerciale in forte passivo, mediamente di circa il 10% del pil nell’ultimo decennio.

Gran parte della popolazione guadagna l’equivalente di 100 dollari al mese in pesos locali e si trova costretta sempre più spesso a pagare beni e servizi in pesos convertibili, i quali decimano il loro potere di acquisto. Nulla rispetto a quanto accadrebbe con una pur necessaria libera, per quanto graduale, liberalizzazione del cambio sui mercati valutari. Il paese è gravato anche da un debito estero alto, pari a 18,2 miliardi di dollari nel 2016. Di questi, 2,6 miliardi sono esposizioni verso il Club di Parigi per prestiti ottenuti nei decenni passati e sui quali nel 1986 fu dichiarato default. I creditori, tra cui l’Italia, concessero nel 2015 con un accordo al regime castrista la cancellazione di ben 8,5 miliardi, il resto da allora verrà pagato in rate annuali fino al 2033. Una è scaduta a fine ottobre e apparentemente stata onorata, almeno verso Italia e Olanda, pari a 80 milioni.

La stagione delle riforme tarda ad entrare nel vivo anche dopo la fine dell’era Castro al potere, che non ha coinciso con quella del comunismo. La fine del dualismo monetario dovrebbe arrivare nel 2020 e portare nel tempo a un sistema più efficiente e ordinato dei pagamenti e di relazioni commerciali, per quanto l’impatto sarà verosimilmente doloroso per i lavoratori dell’ancora ipertrofico sistema statale, i cui redditi restano bassissimi e tali da non poter sostenere rialzi drastici dei prezzi.

L’alternativa, però, sarebbe un lento scivolamento verso il Venezuela, passando per una sempre più critica carenza di beni per via delle riserve valutarie calanti, rischio che il regime de L’Avana ha fiutato e sta cercando di anticipare proprio con la fine del CUP.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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