Con la fine dell’anno alle porte, tempo di bilanci sui mercati. E per la Russia il 2019 è andato piuttosto bene. Non brilla il suo tasso di crescita economica, atteso di poco superiore all’1%, ma la crisi provocata sin dal 2014 sia dal crollo del petrolio e dalle sanzioni dell’Occidente sul caso Ucraina sembra alle spalle. Interessante notare che il mercato dei corporate bond sia cresciuto di dimensioni nel frattempo, più che raddoppiando di valore a 13.000 miliardi di rubli, circa 200 miliardi di dollari.
Bond Russia in rubli, i capitali tornano da Putin e mostrano grande appetito per gli OFZ
La più attiva nell’emettere bond nel corso del 2019 è stata la prima banca russa, Sberbank, con 96 miliardi di rubli, qualcosa come circa 1,5 miliardi di dollari. E secondo VTB Capital, nel 2020 le emissioni obbligazionarie private in Russia cresceranno di un altro 25%, attestandosi a 2.000 miliardi di rubli o 31,5 miliardi di dollari al cambio attuale. Esse verranno sostenute dai tassi in calo. Quest’anno, la Banca di Russia li ha tagliati dal 7,50% al 6,50% e si prevede che al board di venerdì prossimo vi sarà un ulteriore allentamento monetario. Del resto, l’inflazione è scesa al 3,8% in ottobre, sotto il target del 4% dell’istituto.
In termini reali, quindi, ancora i tassi d’interesse russi si mostrano decisamente positivi per quasi 300 punti base, un fatto ormai inconsueto di questi tempi. Gli stessi rendimenti sovrani avrebbero ulteriori margini per scendere. I titoli in rubli, detti anche OFZ, offrono il 6,41% per la scadenza a 10 anni e quelli a 2 anni il 5,825%. A inizio anno, offrivano rispettivamente l’8,66% e il 7,76%. A conti fatti, anch’essi rendono positivamente in termini reali e di 200-250 bp. Per capirne l’andamento futuro, bisogna guardare al mercato petrolifero.
L’impatto del petrolio sui bond russi
Circa la metà delle esportazioni russe sono di petrolio e prodotti raffinati, per cui i loro prezzi determinano nei fatti i tassi di cambio del rublo, impattando sull’inflazione e, in ultima analisi, sui tassi d’interesse e i rendimenti sovrani e corporate. E quest’anno, il rublo si è rafforzato di oltre l’8% contro il dollaro, la metà di quanto abbia fatto il petrolio (in dollari), con il risultato che per la Russia un barile esportato oggi rende circa il 9% in più di fine 2018, facendole incassare oltre 4.030 rubli dai 3.700. L’apprezzamento del cambio ha tenuto a bada i prezzi domestici, consentendo al governatore Elvira Nabiullina di tagliare i tassi per sostenere l’economia.
Bond in rubli grande opportunità, ma rischi restano e girano tutti attorno a Trump
Se il petrolio reggesse sui livelli attuali e sul fronte geopolitico non arrivassero novità negative per il Cremlino, il trend positivo per i bond in rubli sarebbe destinato a proseguire. E considerando che le sanzioni abbiano sostanzialmente privato governo e società russi dello sbocco sui mercati stranieri, i rendimenti dei bond in rubli sono rimasti gli unici con cui in patria bisogna confrontarsi per farsi un’idea dei costi di indebitamento da sostenere. L’outlook appare positivo per i titoli di stato, se è vero che i “credit default swaps”, che misurano il rischio sovrano a 5 anni, siano crollati quest’anno da quasi 150 a poco più di 65 bp.
Anche la borsa di Mosca ha reagito bene, con incrementi degli indici non inferiori al 20%, superiori alla media delle altre piazze finanziarie emergenti.