Deve essere semplificato e reso più efficiente il sistema di esecuzione delle pene pecuniarie e della possibilità di convertirle in sanzioni limitative della libertà personale, perché attualmente, nella stragrande maggioranza dei casi, la riscossione non viene assicurata a causa della farraginosità del sistema.
E ciò a differenza di quanto avviene in molti altri Paesi, in cui le pene pecuniarie costituiscono invece un’efficace alternativa alle sanzioni privative della libertà personale. È, questo, il monito contenuto nella sentenza n. 279 depositata poco tempo fa (relatore Francesco Viganò) con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata da un magistrato di sorveglianza sull’articolo 238-bis del Testo unico in materia di spese di giustizia.
La conversione della pena pecuniaria
In linea generale, l’esecuzione delle pene pecuniarie è curata dall’agente della riscossione, tenuto a notificare al condannato una cartella esattoriale e a procedere, in caso di inadempimento, all’esecuzione forzata. Se l’esecuzione dà esito negativo, il magistrato di sorveglianza – verificata l’insolvibilità del condannato – procede alla conversione della pena pecuniaria in un periodo di libertà controllata oppure, a richiesta del condannato, il lavoro sostitutivo in favore della collettività.
Cosa dice la Corte Costituzionale
La norma censurata davanti alla Corte dispone che il magistrato di sorveglianza debba procedere alla conversione non solo quando l’esecuzione forzata sia stata infruttuosa, ma anche se l’agente della riscossione non abbia svolto alcuna attività esecutiva nell’arco di 24 mesi. Scopo della norma è evitare che la prolungata inerzia dell’agente della riscossione paralizzi la possibilità di convertire la pena pecuniaria nei confronti dei condannati inadempienti. Ebbene, la Corte ha escluso che questa disciplina si ponga in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza, con il diritto di difesa e con la finalità rieducativa della pena. Secondo la Consulta, “non esiste infatti alcuna necessità, sul piano costituzionale, che il condannato sia sottoposto ad un’infruttuosa esecuzione forzata, prima di poter essere assoggettato alle sanzioni di conversione previste dalla legge, purché sia stato regolarmente informato dall’ufficio del giudice dell’esecuzione dell’obbligo di pagare la pena pecuniaria e delle possibili conseguenze in caso di inadempimento“.