L’indice PMI manifatturiero a dicembre in Germania è sceso da 44,1 a 43,7 punti, sopra i 43,4 attesi della lettura iniziale, ma ben al di sotto dei 50 punti, la soglia di demarcazione tra crescita e recessione di un comparto, che qui vale un quinto dell’economia. Nel 2019, per un soffio Berlino ha evitato di cadere nella recessione cosiddetta “tecnica”, che si ha quando il pil si contrae per due trimestri consecutivi. Nell’intero anno, questi dovrebbe essere cresciuto dello 0,5% e anche per il 2020, il dato destagionalizzato atteso dalla Bundesbank viaggia su questa percentuale, mentre per il biennio 2021-2022 dovrebbe registrarsi un balzo all’1,5%.
Insomma, l’economia tedesca barcolla, ma non cede. E la sua solidità viene confermata dai numeri strabilianti del mercato del lavoro. Il tasso di occupazione nell’ultimo trimestre dello scorso anno è salito al 76,5%, pari a 45,3 milioni di occupati, 402.000 in più rispetto al 2018. A titolo di confronto, l’Italia di occupati ne conta poco più di 23 milioni, pari a meno del 60% della sua intera popolazione in età lavorativa. Per essere chiari, se avessimo gli stessi tassi di occupazione della Germania, nel nostro Paese lavorerebbero quasi 6,5 milioni in più di persone. Addio, disoccupazione giovanile; addio, questione meridionale!
Stimoli fiscali? Nein, siamo tedeschi
L’occupazione record tedesca si regge sui ritmi di produzione (quasi) a pieno regime, trainati dalle esportazioni, che pur calanti, rimangono altissime e nettamente superiori alle importazioni. A sua volta, essa sostiene i consumi interni, i quali compongono appena il 52% del pil tedesco, molto meno del 69% negli USA o del 58-59% in Italia, ma comunque una percentuale fondamentale per mantenere l’economia a galla nelle fasi di rallentamento globale. E, soprattutto, quand’anche la Germania entrasse davvero in recessione, non sarebbe né la fine di un modello, né la conferma che abbia scelto la strada sbagliata sull’economia. Dopo un decennio di crescita sostanzialmente ininterrotta, nessuna grande economia europea può vantare simili risultati e la stessa America, per quanto abbia fatto meglio, si è dovuta indebitare fino a livelli record, mentre i tedeschi i loro debiti li hanno persino ridotti sia nel settore pubblico che in quello privato.
L’italianizzazione della politica tedesca
L’economia tedesca è sana e molto solida, inutile andare a cercare il pelo nell’uovo, anche se non bisognerebbe sottovalutare l’impatto sui consumi dei recenti licenziamenti annunciati nei settori automotive e bancario. In più, dispone dei margini fiscali necessari per eventualmente stimolare i tassi di crescita, se è vero che il mondo intero invochi Berlino a spendere di più per sostenere investimenti e consumi (e importazioni). L’unica vera, grande minaccia non arriva probabilmente né dai dazi di Trump, né dalla crescita mondiale, bensì dalla politica federale. Il 2020 sarà il penultimo anno di governo per la cancelliera Angela Merkel, che ha già promesso che non si ricandiderà per un quinto mandato. Ma non è detto che arrivi a completare il quarto, perché il 2019 si è chiuso con tensioni forti nella maggioranza, tra una SPD guidata a sorpresa da due esponenti contrari alla Grosse Koalition e una CDU-CSU indisponibile a cedere ulteriormente a sinistra.
Germania verso elezioni anticipate, Merkel mollata dai socialdemocratici
Stando ai sondaggi, i socialdemocratici sarebbero ad appena il 13% dei consensi, l’Unione di Frau Merkel al 28%, in entrambi i casi ai minimi storici. Per contro, i Verdi ormai si attesterebbero sopra il 20% e la destra euro-scettica dell’AfD sarebbe intorno al 15%. Le opposizioni avanzano, mentre la maggioranza arranca e si regge solo sulla paralisi politico-istituzionale che va avanti ormai dalle elezioni di settembre del 2017. Nessuno se la sente di staccare la spina, perché non saprebbe cosa fare un attimo dopo. Il centro-destra sarebbe costretto a governare con i Verdi e forse anche una terza forza politica come i liberali dell’FDP, dando vita a un inedito esecutivo federale a tre e, soprattutto, politicamente insostenibile per le divergenze tra i partiti.
Ma continuare così sembra altrettanto rischioso. Un altro anno e mezzo abbondante di governo per completare la legislatura aumenterebbe le distanze tra palazzo e cittadini. Nessun risultato potrebbe escludersi nell’autunno dell’anno prossimo, quando ad oggi è assodato uno scenario all’italiana, con tanti partiti di medio-grandi dimensioni e tra di loro nemmeno compatibili per la formazione di un governo programmaticamente coerente. A questo, aggiungiamo leader di caratura modesta, tra cui la stessa Annegret Kramp-Karrenbauer, erede di Frau Merkel alla guida dei conservatori, e se ne ottiene un quadro disarmante sul futuro del primo azionista dell’Unione Europea e leader indiscusso dell’euro.