Limiti ai pagamenti in contante, la BCE tira le orecchie all’Italia: colpite i più deboli

Pagamenti elettronici non perfettamente equivalenti a quelli in contante. La BCE bacchetta il governo Conte e clamorosamente boccia la lotta al cash dell'Italia, avvertendo: "rischiate di colpire le fasce più deboli".
5 anni fa
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Una missiva a dir poco imbarazzante per il governo Conte. Il mittente è niente di meno che la BCE e il contenuto di gran lunga inatteso: la lotta al contante rischia di tagliare fuori dal circuito dei pagamenti ampie fasce della popolazione. Questo è il succo della lettera con cui Francoforte ha tirato le orecchie all’Italia, che con la legge di Stabilità 2020 ha abbassato nuovamente da 3.000 a 2.000 euro il limite massimo per effettuare pagamenti in contante, prevedendo un ulteriore abbassamento a 1.000 euro dal 2022.

Commissioni POS assurde, la lotta al contante colpisce agenti e commercianti

Secondo l’istituto, l’Italia avrebbe dovuto per prima cosa comunicare la sua decisione, cosa che non ha fatto. Secondariamente, esso eccepisce che i pagamenti diversi dall’uso del cash rischiano di tagliare fuori quella parte più debole della popolazione, che non ha accesso ai conti bancari o che non può permetterselo. E terzo, la chicca: le modalità di pagamento diverse dal contante non sono equivalenti, avendo spesso “caratteristiche diverse”.

Svelato il bluff, diremmo. Da anni, i vari governi che si succedono ci raccontano che la lotta al contante sarebbe la soluzione a vari mali, come evasione fiscale, criminalità e terrorismo. La stampa non è rimasta indietro e quotidianamente propina l’idea dei pagamenti elettronici per ridurre i costi di gestione del cash e per aumentare le entrate fiscali, favorendo i cittadini-utenti onesti. Senonché, scopriamo che i limiti all’uso del contante in giro per il mondo quasi non esistono e se esistono, essi sono molto spesso meno stringenti che da noi, mentre la Germania nemmeno si sogna di imporre limitazioni e insieme alla Svizzera svetta tra le economie avanzate al mondo con l’uso più intensivo dei pagamenti cash.

Il caso della Svezia e la confusione italiana

La Svezia ha preso tutta un’altra strada nell’ultimo decennio e già oggi circa l’85% dei pagamenti avviene con carta di credito o bancomat.

E punta da qui a qualche anno a raggiungere il 100%. Tutto bene? No, l’economia scandinava ha così poche corone di carta o in metallo in circolazione, che la stessa Riksbank ha messo in guardia dagli effetti collaterali di una simile condizione, che colpirebbero anziani, immigrati e fasce della popolazione sprovviste di un conto bancario. Insomma, anche in Scandinavia la lotta al contante avrebbe assunto caratteri “classisti”.

La Svezia rivuole il suo denaro contante, la Germania lo difende dai pagamenti digitali

In Italia, la disciplina si mostra erratica. Il governo Monti impose il limite ai pagamenti cash a 1.000 euro, alzato a 3.000 euro dal governo Renzi e successivamente ri-abbassato a 1.000 euro dal governo Gentiloni, poi rialzato a 3.000 euro dal primo governo Conte e adesso riportato gradualmente alla soglia iniziale. A parte la schizofrenia normativa, negli ultimi mesi le polemiche si sono concentrate sull’obbligo del POS per commercianti e liberi professionisti. Le categorie lamentano di subire una defalcazione spesso ingente dei margini per via delle alte commissioni bancarie imposte loro. La lotta al contante la pagherebbero i piccoli negozi e gli uffici, dunque.

Nel tentativo di spronare gli italiani a pagare con carta, con la legge di Stabilità 2020 è stato anche introdotto il cosiddetto “bonus Befana”, vale a dire una sorta di “cashback” dell’IVA pagata sui pagamenti elettronici e che verrebbe accreditato sul conto del consumatore nel gennaio dell’anno prossimo (da cui il nome), almeno per il primo anno, mentre a regime l’accredito avverrebbe mensilmente. L’idea di incentivare non è da scartare, quella di punire è inaccettabile. E, in ogni caso, prima di parlare di lotta al cash bisogna interrogarsi sia sulle conseguenze per chi oggi è escluso dal panorama bancario per varie ragioni e sia sui costi che le alternative comporterebbero.

E non parliamo solo delle commissioni, dei canoni periodici e delle imposte di bollo per la tenuta di un conto, quanto anche della minore libertà del singolo cittadino dinnanzi al sistema bancario e allo stato, dovendo far transitare tutti i suoi soldi su canali controllabili e facilmente espropriabili. Vedasi l’infame prelievo forzoso del 1992.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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