Polemica sulle pensioni militari: che fine fanno i contributi versati dalle forze armate alle casse di previdenza complementare? Per risolvere questo problema i rappresentanti Co.Ce.R. hanno chiesto una serie di incontri allo Stato Maggiore dell’Esercito e allo Stato Maggiore della Difesa in merito alla gestione dei fondi di previdenza complementare del personale militare.
Forze Armate, contributi previdenza complementare obbligatori: ma che fine fanno?
Il primo aspetto da chiarire per approfondire la questione riguarda l’obbligatorietà dei contributi di previdenza integrativa: per i militari la scelta non è libera.
La trattenuta mensile viene applicata direttamente sullo stipendio e può variare nell’importo in base allo stipendio (si parte da circa 35 euro al mese per le buste paga militari di inizio carriera). Dopo pochi anni, in pratica, si mettono da parte circa 10 mila euro. Ma dove si mettono esattamente?
Il punto è proprio questo: sul fondo pensione complementare non c’è chiarezza da parte dell’amministrazione. Non si sa neppure qual è la banca in cui le somme sono depositate: anni fa era circolata l’ipotesi che si trattasse di Banca Marche ma la notizia non è mai stata confermata da fonti ufficiali. Non solo: ad oggi i militari non hanno strumenti agevoli a disposizione per controllare lo stato dei contributi e sapere quanto hanno versato per la previdenza integrativa.
Previdenza integrativa militari: quando si perdono i contributi
A rendere ancora più complesso lo scenario ci sono le ipotesi in cui si vanno a perdere i contributi versati, ad esempio se cambia lavoro prima dei sei anni di servizio, o anche se, indipendentemente dagli anni di servizio, si congeda dall’Esercito e cambia incarico a seguito di malattia o infortunio (pur restando dipendente dello stesso Ministero).
I delegati Co.Ce.R. non mollano la presa e hanno chiesto chiarezza il prima possibile, pretendendo una riforma del sistema di previdenza complementare vigente in modo da superare certe penalizzazioni gravi.