L’economia italiana non è in crisi, ma in depressione: fermi da 20 anni e industria KO

Economia italiana a rischio recessione ancora una volta e siamo fermi ormai da 20 anni, mentre la produzione industriale è crollata senza riprendersi dalla crisi del 2008.
5 anni fa
2 minuti di lettura

L’Istat ha certificato ieri che la produzione industriale in Italia è scesa dell’1,3% nel 2019, segnando un -2,7% mensile a dicembre, il calo più marcato da gennaio 2018. Combinando questi dati con quelli sugli ordini industriali, difficile immaginare che agli inizi di quest’anno si stia registrando una ripresa del pil dal -0,3% stimato provvisoriamente per l’ultimo trimestre del 2019. Se così non fosse, l’economia italiana si starebbe dirigendo verso la quarta recessione dal 2008. Dire che sia un dato negativo è eufemistico.

Nel frattempo, gli USA sono cresciuti ininterrottamente dal secondo trimestre del 2009, superando alla grande la crisi finanziaria ed economica, che pure ebbe il suo epicentro proprio lì.

Economia italiana a rischio recessione e a Roma parlano di aumentare l’IVA

Il nostro pil reale è l’unico tra le grandi economie mondiali a non essersi ripreso dalla crisi di ormai 12 anni fa. Esso rimane di oltre il 4% inferiore rispetto ai livelli del 2007. Nello stesso periodo di tempo, Germania e Francia sono cresciuti a doppia cifra. E che dire del pil pro-capite, quello che si ottiene suddividendo la ricchezza annualmente prodotta per il numero dei residenti? Con il nuovo millennio risulta aumentato nominalmente di quasi il 42%, ma si consideri che l’inflazione cumulata nel ventennio è stata di circa il 41%. In altri termini, dal 2000 ad oggi i redditi degli italiani mediamente sono rimasti del tutto fermi.

Ed è chiaro che sia così. Tornando alla produzione industriale, i livelli a fine 2019 risultavano di quasi il 22% più bassi di quelli del 2007. Negli ultimi 12 anni, le variazioni tendenziali sono state negative per 6 volte, nulle una volta e positive per sole 5 volte. Queste sono cifre di uno stato depressivo, non di una congiuntura avversa. Impossibile su queste basi anche solo sperare di abbattere il rapporto debito/pil. Il denominatore non cresce, ormai nemmeno in termini nominali, essendo l’inflazione quasi azzerata.

Pertanto, al numeratore basta muoversi di poco per aggravare il grado di indebitamento.

Le cause della depressione italiana

E dire che a tenere bassissimi i rendimenti dei titoli di stato ci stia pensando la BCE negli ultimi anni. Senza, avremmo oggi un deficit superiore al 3% e, soprattutto, perso del tutto la fiducia dei mercati finanziari. Non saremmo più da tempo nelle condizioni di rifinanziare da soli il debito in scadenza. La domanda è perché l’economia italiana non cresce più da decenni. La risposta va trovata nel mix micidiale di alte tasse, burocrazia gravosa, bassi investimenti e giustizia lenta, unitamente alla scarsa propensione degli investitori a portare i loro capitali in un paese politicamente e legislativamente instabile come il nostro.

Serve uno shock fiscale per riattivare la domanda aggregata interna da un lato e la produzione dall’altro, ma esso è impossibile da attuarsi, a causa dei margini inesistenti dei conti pubblici. Soltanto un’azione lungimirante di abbattimento della spesa pubblica nel medio-lungo periodo renderebbe possibile raccogliere negli anni i frutti, con la creazione progressiva di quegli spazi fiscali da utilizzare per tagliare le tasse e aumentare gli investimenti pubblici. Ma le varie operazioni di “spending review” varate dal 2012 in poi non hanno esitato alcunché di significativo. L’instabilità politica e la breve durata dei governi stanano sul nascere qualsivoglia tentativo di adottare azioni lungimiranti e rendono la nostra legislazione incoerente ed erratica.

Tutti i mali storici dell’Italia sono venuti maledettamente a galla con l’euro, non essendovi più le valvole di sfogo della svalutazione del cambio e del deficit spending, con ripercussioni inflazionistiche in entrambi i casi. Se nella Prima Repubblica fu possibile per i governi vivacchiare, scaricando sul futuro le conseguenze delle non scelte, adesso quel futuro è arrivato da un pezzo e contrariamente a quanto avremmo sperato, ci ha colti impreparati e sprovvisti di una governance credibile per uno dei membri del G7.

Di questo passo, lo scenario dell’Italexit non sarà solo nelle fantasie di qualche euro-scettico a Roma, bensì dietro l’angolo.

La corsa sfrenata del debito pubblico italiano con queste cifre allarmanti

[email protected] 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Assunzioni Ferrero
Articolo precedente

Assunzioni Emirates, assistenti di volo: nuove selezioni in Italia a febbraio e marzo

Articolo seguente

Obbligazioni Unicredit in dollari a 3 anni e rendimento sopra il 3%