Il turismo nel mondo è letteralmente collassato nelle ultime settimane con l’emergenza Coronavirus. E se c’è un’industria che sta subendo il tonfo peggiore in questa fase è quella delle navi da crociera. La Diamond Princess, bloccata in Giappone per settimane con 700 persone a bordo per via del contagio tra numerosi suoi passeggeri, è diventata il simbolo di questa crisi e difficilmente le immagini della nave, che da luogo di svago si è trasformata in carcere per i malcapitati, saranno dimenticate in fretta da milioni e milioni di viaggiatori.
Le azioni di Carnival Corp., una delle tre compagnie di crociera più grandi al mondo insieme a Royal Caribbean e Norwegian Cruise, sono precipitate del 76% quest’anno, scendendo nei pressi dei 13,50 dollari, ma con gli analisti di Wells Fargo ad avere tagliato il target price a soli 6 dollari.
La compagnia naviga in cattive acque, è davvero il caso di dirlo. Prenotazioni disdette, una stagione andata completamente perduta e la prospettiva di non prendere il largo da qui a chissà quanti mesi. E così, anche le sue obbligazioni sono letteralmente crollate sul mercato secondario. In un paio di settimane, la scadenza in dollari 15 ottobre 2020 e cedola 3,95% (ISIN: US143658BA91) ha perso oltre il 10%, scendendo a una novantina di centesimi e offrendo così un rendimento annualizzato del 23%.
Molto peggio è andata al bond 28 ottobre 2029 e cedola 1% (ISIN: XS2066744231), che in meno di un mese, pensate, si è dimezzato di valore, implodendo a una cinquantina di centesimi e vedendo esplodere il rendimento offerto da meno dell’1% a oltre il 12%. E dire che la compagnia gode ancora di rating non allarmanti, con Moody’s ad averla declassata solo nelle scorse settimane a “Baa1” e S&P ad aver messo sotto osservazione il suo debito, in vista di un “downgrade” praticamente certo dall’attuale giudizio “A-“.
I numeri di Carnival Corp.
La compagnia ha chiuso l’esercizio 2019 con un utile netto di 3 miliardi, pur in calo dai 3,2 miliardi dell’anno precedente, a fronte di ricavi per 20,8 miliardi, maturati grazie ai 20,8 milioni di passeggeri complessivamente trasportati.
In netta crescita l’indebitamento a lungo termine a 9,675 miliardi, del tutto sostenibile, tuttavia, con gli utili annuali messi a segno negli ultimi anni. Il problema è che una compagnia da crociera non può permettersi di restare a digiuno di passeggeri per mesi, dati gli elevati costi fissi – e Carnival impiega 150.000 dipendenti – tra cui gli enormi ammortamenti per le navi.
E’ normale che gli obbligazionisti corrano a vendere le obbligazioni Carnival, se non fosse che questi deprezzamenti violenti delle ultime settimane costituirebbero una ragione forte per tornare a comprare. L’amministrazione Trump sta limando con il Congresso un piano da 2.000 miliardi di dollari per sostenere l’economia americana nelle prossime settimane piuttosto difficili, destinando una parte cospicua di esso alle imprese in crisi, tra cui quelle del settore turistico, comprese esplicitamente le navi da crociera. L’entità degli aiuti sarebbe tale da togliere le castagne dal fuoco alla Carnival. Se questo accadesse, i prezzi dei bond risalirebbero e gli acquirenti maturerebbero in un lasso di tempo anche breve notevoli plusvalenze.
Ma le navi da crociera non fanno molta simpatia all’opinione pubblica americana. Anzitutto, perché impiegano quasi esclusivamente manodopera straniera a basso costo, per cui sarebbero pochi i posti di lavoro domestici a rischio; secondariamente, perché le principali sopra citate hanno tutte sede a Miami, ma pagano le tasse nei cosiddetti “paradisi fiscali”, per cui la stessa stampa si sta chiedendo se sia corretto destinare loro aiuti con i soldi dei contribuenti, quando esse non versano un centesimo al fisco americano sugli utili maturati. D’altra parte, il presidente Donald Trump ha un legame “affettivo” con Carnival.
Su una delle sue navi ha girato un’edizione di “The Apprentice” e probabilmente se ne ricorderà al momento di varare ufficialmente il piano.