Se vi chiedessimo cosa sia Equinor Asa, probabilmente a molti di voi questo nome non dirà nulla. In effetti, da due anni ha rimpiazzato la storica denominazione di Statoil, la compagnia petrolifera norvegese, che da tempo è stata privatizzata e che adesso risulta quotata a Oslo e New York. Le classifiche internazionali la considerano la società più trasparente al mondo, praticamente priva di qualsiasi forma di corruzione. Le agenzie di rating le assegnano giudizi entusiasmanti, con “AA-” per S&P e “Aa2” per Moody’s.
Le obbligazioni della Norvegia rendono bene con la corona debole?
Ma il greggio quest’anno si è schiantato ai livelli di prezzo più bassi dal 2002, con il Brent arrivato a quotare in area 25 dollari per un barile e risalito solamente di qualche dollaro da questi minimi. La corona norvegese ne sta risentendo. Il suo tasso di cambio contro l’euro ha perso fino al 25% da inizio anno nei giorni scorsi, guadagnando successivamente il 10% e attestandosi ieri a oltre 11,70. Eppure, il debito sovrano scandinavo va a ruba, percepito come un porto sicuro contro le tensioni internazionali di questa fase.
Ciononostante, le obbligazioni di Equinor in dollari sono crollate di prezzo in poche settimane. Il bond gennaio 2024 e cedola fissa 2,65% (ISIN: US85771PAK84) a inizio marzo stava sopra 105 e ieri risultava sceso a 84,50, ma una settimana fa era scivolato fin sotto 80 centesimi. In termini di rendimento, offriva poco meno dell’8%. Il bond in dollari più longevo della compagnia è quello che scade nel novembre 2049 con cedola 3,25% (ISIN: US29446MAC64) e che ieri quotava a meno di 60 centesimi, rendendo l’8,60%.
Potenziale valore e bassi rischi
Sulle scadenze più ravvicinate, i rendimenti appaiono normalizzarsi. Anche in questi casi, prezzi in netto calo, ma il bond marzo 2021 e cedola 5,625% (ISIN: XS0416848520), quotando a 102,30, ieri offriva “solamente” circa il 3,15%. Qui, bisogna dire che l’effetto cambio potrebbe giocare un brutto scherzo, nel caso in cui l’euro si apprezzasse contro il biglietto verde di una percentuale simile o superiore al rendimento. Meglio optare per le scadenze più lunghe, che dovrebbero preservare da tale rischio, continuando a offrire un rendimento effettivo nettamente positivo e superiore persino a quello che un BTp di pari durata riuscirebbe a garantire.
Così come i prezzi sono stati spazzati via dal tracollo delle quotazioni petrolifere, allo stesso modo tornerebbe a salire quando queste si riprenderanno. Non dovrebbe accadere a breve, ma nel frattempo i bond iniziano già ad apprezzarsi, risultando fin troppo svenduti. Arrivare tardi significherebbe non poter approfittare dei prezzi infimi di questa fase, apparentemente non sostenibili e frutto più dell’ondata di vendite emotiva che è scattata nelle scorse settimane ai danni di tutti gli assets non sicuri. Supponete che tra un anno il Brent si riportasse ai circa 50-55 dollari di inizio marzo; oltre a incassare le cedole, avreste modo di realizzare guadagni in conto capitale a doppia cifra. E stiamo parlando di un investimento “investment grade”, relativamente sicuro e in un paese finanziariamente granitico come la Norvegia, il cui debito pubblico, al netto del fondo sovrano, sarebbe profondamente negativo.
Benvenuta deflazione nell’era del petrolio a 25 dollari, ma non per tutti