Cedola al 12% per un bond quasi “spazzatura” in dollari a 3 anni: è di Carnival

Rendimenti stellari per il nuovo bond di Carnival, ma l'emissione ieri è stata un enorme successo, allontanando i timori di implosione del mercato obbligazionario "junk". I rischi, tuttavia, rimangono.
5 anni fa
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Se pensate di averle viste tutte, vi sbagliate. Ieri, la compagnia di crociere Carnival ha emesso un bond in dollari per 4 miliardi, innalzando l’offerta dai 3 miliardi iniziali, grazie alla domanda sostenuta e che ha ecceduto i 10 miliardi. E’ stata cancellata, invece, la tranche in euro che era stata offerta al mercato, a causa dello scarso interesse registrato tra gli investitori, data la bassa liquidità di questo segmento corporate. Essa avrebbe corrisposto una cedola annuale dell’11,50%. Invece, la cedola della tranche in dollari è stata tagliata dal 12,50% della guidance al 12%.

Tantissimo per una scadenza a 3 anni, se si considera che ormai il Treasury a 30 anni si limita a offrire un rendimento dell’1,35-1,40%.

La crisi travolge le navi da crociera e le obbligazioni Carnival si schiantano

E le obbligazioni di Carnival appaiono molto generose anche rispetto alla media del mercato corporate a stelle e strisce. Attualmente, un bond con rating “investment grade” (IG) rende in media il 3,50%, uno con rating “junk” o “spazzatura” sfiora il 10%. Dunque, il triennale appena emesso dalla società supera i rendimenti medi dei titoli speculativi, pur essendo la compagnia ancora formalmente un emittente “IG”, anche dopo i declassamenti subiti per mano di Moody’s e S&P a marzo. In particolare, l’altro ieri la prima ha tagliato il rating a “Baa3” e il secondo a “BBB”.

Alla base dei “downgrade” ci sono le incertezze legate all’emergenza Coronavirus. Le crociere sono state sospese, essendo vietati un po’ in tutto il mondo gli assembramenti. Non si sa quando Carnival potrà tornare ad operare, ma nel frattempo dovrà sostenere gli enormi costi fissi tipici di questo settore. Al termine del primo trimestre, cioè al 29 febbraio scorso, la società deteneva liquidità per 11,7 miliardi, teoricamente più che sufficienti per affrontare con assoluta serenità i prossimi mesi, tenuto conto che l’intero debito a lungo termine ammonti a 9,7 miliardi.

Tuttavia, ha anche ordinato per i prossimi tre anni la costruzione di nuove navi da crociera per un costo complessivo di 11 miliardi.

Il sostegno pubblico

Anche per questo, le azioni sono precipitate di circa l’80% quest’anno e Carnival ha varato un piano per raccogliere capitali per 7 miliardi, tra cui l’emissione del bond e di nuove azioni per 1,3 miliardi. Non è bastato a rasserenare il mercato, con il titolo ad avere accusato ieri perdite a doppia cifra in borsa. Segnali di ripresa, invece, sono arrivati dall’obbligazionario, con la scadenza di ottobre e cedola 3,95% (ISIN: US143658BA91) a risalire sopra 91 centesimi, offrendo ancora, però, rendimenti sproporzionati per un emittente IG: oltre il 22%!

Vero è che il mercato avrebbe comprato la ripresa attesa del business dopo l’emergenza Coronavirus. Ma è chiaro che a trainare gli ordini delle emissioni “high yield” sia la politica monetaria ultra-espansiva della Federal Reserve, che iniettando liquidità a fiumi in questa fase sta sostenendo bond e azioni, mitigando i crolli di gran parte del mese di marzo. In poche sedute, i titoli “spazzatura”, vale a dire quelli con rating dal “BB+” in giù, sono passati da un rendimento medio dell’11,38% al 9,20%, segnalando una distensione degli animi tra gli investitori.

Ma sale il rischio di continuare a puntare sul debito di società potenzialmente travolte dalla crisi, sebbene la stessa Carnival abbia rassicurato di avere ricevuto 39.000 prenotazioni da quando ha sospeso le crociere, di cui il 45% semplicemente rinviate, dato che i clienti non hanno accettato la restituzione dei pagamenti. Un segnale di ottimismo per il post-pandemia. Infine, insieme a Royal Caribbean e Norwegian Cruise, la compagnia potrebbe beneficiare degli aiuti varati dall’amministrazione Trump a sostegno dei comparti in crisi, per quanto non aiuti la sede fiscale di queste società nel Panama, con parte consistente dell’opinione pubblica contraria a dare una mano a chi non paga le tasse negli States.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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