Se Kim Jong Un è morto, quale impatto su Corea del Nord e resto del mondo?

Mistero sulla sorte del leader nordcoreano, mentre s'infittiscono le voci sulla sua presunta morte dopo un infarto. Il mondo non sa cosa augurarsi. Il regno "eremita" resta un'incognita per tutti.
5 anni fa
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Che fine ha fatto Kim Jong Un? Una fonte anonima ha riferito al Daily North Korea, quotidiano gestito da oppositori al regime e finanziato anche dagli americani, che il Caro Leader sarebbe morto o verserebbe in gravi condizioni, forse in stato vegetativo, dopo un intervento al cuore a cui sarebbe stato costretto il 12 aprile scorso, a seguito di un infarto. Il 15 aprile non ha partecipato alle celebrazioni pubbliche per l’anniversario della nascita del nonno, Kim Jong Sun, fondatore della Corea del Nord.

E già questo è stato un segnale di allerta sulle sue condizioni di salute. Impossibile attingere alle informazioni locali per capire cosa sia successo al giovane dittatore, data la totale censura vigente nello stato. Sappiamo che da anni ingrassa per via di un’alimentazione scorretta e che fuma fin troppe sigarette al giorno. Pare che la sua salute sia andata peggiorando dal luglio scorso.

Quando il nonno morì nel 1994, l’annuncio fu dato dopo qualche giorno. E si venne a sapere praticamente subito della morte del padre Kim Jong-il. Tuttavia, in entrambi i casi vi era un erede certo a cui affidare le sorti del regime comunista, mentre nel caso di Kim Jong Un la situazione appare molto più fluida. I figli sono troppo piccoli per assumere la guida dello stato, mentre la figura numero due del regime è attualmente la sorella Kim Yo-Jong, che in quanto donna avrebbe molte difficoltà ad essere accettata da militari e partito, due dei potere su cui si regge la dittatura assieme al governo.

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Cosa significherebbe la morte di Kim Jong Un

Chiediamoci adesso cosa accadrebbe se davvero il 36-enne e terzo della dinastia dei Kim a guidare il regime di stampo comunista nella Corea del Nord fosse morto o non più in grado di ricoprire il suo ruolo.

Data la natura violenta e spietata del governo di Pyongyang, qualcuno scommetterebbe che la situazione non potrebbe che migliorare in patria sul fronte dei diritti umani e all’estero sul piano delle relazioni internazionali. E qui si commette un errore di valutazione grossolano. Le stramberie di Kim, tra missili lanciati in direzione del Giappone e minacce di guerra nucleare, sono avvenute in un clima di maggiore tolleranza interna verso la proprietà privata e l’impresa, con l’accettazione della nascita di tante piccole attività economiche, specie nella capitale.

Kim Jong Un non ha mai codificato alcuna seria riforma dell’economia sin dalla sua ascesa al potere nel dicembre 2011, ma nei fatti ha perseguito l’obiettivo di un allentamento delle pesanti restrizioni alla libertà economica dei 25 milioni di nordcoreani, consapevole che l’arretratezza e la fame siano conseguenza di uno statalismo che sarebbe stato considerato estremo persino per i canoni sovietici in piena Urss. E va riconosciuto come negli ultimi 2-3 anni abbia reso un po’ meno eremita lo stato, incontrando più volte il presidente cinese Xi Jinping, quello sudcoreano Moon Jae-in e, clamorosamente, il presidente americano Donald Trump.

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L’America ha allacciato un minimo di relazioni diplomatiche con Pyongyang, tanto che Trump si è mostrato seriamente dispiaciuto nei giorni scorsi sulle illazioni riguardanti la salute di Kim. La Casa Bianca punta alla denuclearizzazione della penisola coreana, in cambio dell’allentamento o totale soppressione delle sanzioni internazionali comminate contro il regime e che impediscono a quest’ultimo di tenere relazioni commerciali con il resto del mondo. Il punto è proprio questo: Kim Jong Un non ha voluto ad oggi rinunciare alla tecnologia nucleare, perché la considera un’assicurazione per la sua vita e per la sopravvivenza dell’intero regime.

Militari e partito la pensano uguale, anzi se vogliamo sono su posizioni assai più estreme e meno controllabili dalla stessa Pechino, unico amico dei nordcoreani nello scacchiere mondiale.

Le conseguenze dell’eventuale morte

La morte di Kim Jong Un, se fosse avvenuta o avvenisse a breve, cadrebbe nel peggiore momento possibile, con America e mezzo mondo chiusi per “lockdown” e le relazioni tra Washington e Pechino ai minimi termini per via delle accuse esplicite rivolte a quest’ultima da Trump di avere sottaciuto su tempi e gravità del Coronavirus. Molto più complicato diverrebbe per la Casa Bianca ottenere un qualche risultato da Pyongyang, nel caso di cambio di leadership. Anzitutto, perché chiunque arrivasse al potere dopo il terzo Kim avrebbe la necessità di mostrarsi forte e non cedevole nei confronti del nemico. Secondariamente, perché l’input che riceverebbe dall’alleato cinese non sarebbe di distensione, bensì probabilmente di “congelamento” delle relazioni con gli USA.

Il governo cinese teme, infatti, che gli USA approfittino, a maggior ragione dopo il Coronavirus, del progressivo dialogo con i nordcoreani per penetrare politicamente e militarmente la penisola, ritrovandoselo così alle spalle. Dunque, la morte di Kim Jong Un avrebbe effetti con ogni probabilità negativi sui mercati azionari occidentali, segnalando l’aumento dei rischi geopolitici da un lato e il possibile ulteriore deterioramento dei rapporti sino-americani dall’altro, quando già oggi si teme che la fine della pandemia coincida con l’esplosione delle tensioni economiche tra Cina e Occidente, USA in particolare.

Sul piano interno, la Corea del Nord rischia di compiere passi indietro, con il nuovo leader a cancellare ogni agenda di riforme, pur informale, per tendere a un maggiore grado di sviluppo economico del paese. E la stretta sulle già inesistenti libertà politiche e civili si farebbe ancora più dura, avendo l’esigenza di consolidare la propria persona all’interno di un regime in cui coesistono diversi apparati che ambiscono a sovrastare gli altri.

Specie se ad arrivare al potere fosse Kim Yo-Jong, dovrebbe esibire una diplomazia più che muscolare nei rapporti con il mondo per eliminare anche il minimo sospetto di “inadeguatezza” di una donna a svolgere il massimo ruolo all’interno dello stato eremita.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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