L’emergenza Covid-19 ha causato la chiusura al pubblico di diverse attività secondo quanto disposto dai DPCM emanati dal governo. Alcune hanno iniziato a riaprire altre, invece, riapriranno i battenti all’inizio del mese di giugno (parrucchieri, estetiste, ecc.). Poiché alcune di queste attività sono svolte sotto la forma dell’affitto del ramo d’azienda, la domanda che ci si pone in tal caso è cosa succede nel caso in cui l’affittuario (ossia l’esercente dell’attività oggetto di chiusura), versando in crisi di liquidità.
Nello specifico ne’il decreto Cura Italia ne’ quello Liquidità hanno dato spazio al caso. L’unica disposizione normativa invocabile è quella di cui all’art. 91 del primo dei due decreti, dove è stabilito che, nel rispetto delle misure di contenimento è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche in relazione all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti. Si ricorda che l’art. 218 c.c. prevede che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Ai sensi dell’articolo 1223, poi il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.
La FAQ della Confcommercio
La questione è stata affrontata anche dalla Confcommercio nella sezione FAQ del proprio sito istituzionale dedicata alle misure di contenimento al Covid-19. A tal proposito testualmente si legge che la disposizione contenuta al richiamato comma 1 art. 91 del decreto Cura Italia, “non determina automaticamente la liberazione del debitore dai propri obblighi contrattuali ma dovrà essere interpretata di volta in volta, in ogni eventuale singola controversia giudiziaria, in relazione alle specificità di ogni singolo caso concreto, per verificare se l’impossibilità della prestazione possa essere effettivamente imputabile all’emergenza in corso e non al debitore e se questa sia assoluta o solo temporanea. Diversamente, infatti, chiunque potrebbe sentirsi legittimato a non adempiere ai propri obblighi contrattuali, anche nell’ipotesi in cui non versi in uno stato di crisi o, addirittura, persino nei casi in cui abbia tratto un vantaggio economico dalla situazione di emergenza. Nel caso prospettato, l’impossibilità di aprire l’esercizio per rispettare i divieti imposti dai provvedimenti adottati dal Governo, appare elemento idoneo a determinare le condizioni per avviare il contatto con la proprietà per chiedere una sospensione e riduzione del canone per il periodo nel quale permarrà la chiusura”.