Il piccolo Regno del Bahrein avrebbe bisogno quest’anno di quotazioni del petrolio sopra i 90 dollari al barile per tenere i conti pubblici in pareggio, stando al Fondo Monetario Internazionale. Al momento, il Brent si compra sui mercati a prezzi pari a un terzo rispetto a quei livelli, per cui capirete quanto complicata si stia facendo la crisi fiscale per lo stato. Già nel 2018, in verità, aveva dovuto richiedere un maxi-prestito da 10,25 miliardi di dollari ai ricchi vicini di Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti per non essere costretto a rivolgersi agli organismi internazionali e sottoporsi a politiche fiscali e monetari impopolari.
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Stavolta, gli aiuti ancora parzialmente in cassa non basteranno e così il Bahrein avrebbe affidato a un gruppo di banche (Bank ABC, Gulf International Bank, HSBC, JP Morgan, National Bank of Bahrain e Standard Chartered) il mandato di emettere per suo conto un sukuk a 4,5 anni e obbligazioni in dollari a 10 anni. Di solito, i cosiddetti Eurobond ammontano a 500 milioni di dollari di valore nominale, ma non abbiamo ancora i dettagli dell’entità considerata da Manama, perché il dossier resta riservato e non ufficiale.
Sappiamo, invece, che il deficit quest’anno esploderà dal già altissimo 10,9% del pil del 2019 al 15,7% stimato dall’FMI. A marzo, il regno aveva dovuto sospendere le emissioni di bond per la pessima situazione imperante sui mercati finanziari, ottenendo dalle banche 1 prezioso miliardo con cui ha potuto onorare una scadenza da 1,25 miliardi alla fine di quel mese. Adesso, dovrebbe attingere per 1,76 miliardi agli aiuti di due anni fa per tamponare il suo fabbisogno finanziario. I prestiti gli furono concessi a interessi zero e a 30 anni.
Rendimenti e rischi alti
Secondo i fund manager della regione, l’emissione del nuovo decennale avverrebbe a un rendimento di 50 punti base sopra quello offerto dal bond esistente.
Del resto, le sue riserve valutarie non arrivano a mezzo miliardo di dollari, teoricamente sufficienti a garantire importazioni per appena un paio di settimane. Investendo nei titoli in valuta estera, quindi, ci si espone a un serio rischio di credito, sebbene in casi estremi il paese avrebbe sempre la possibilità di sganciare il dinaro dal dollaro, svalutandolo e aumentando così le entrate fiscali, oltre che le riserve, nonché di appellarsi ancora una volta agli amici del Golfo, che hanno segnalato di voler impedire il default di chicchessia nell’area per ragioni geopolitiche, con l’eccezione di Qatar e Iran.
Il bond a 9 anni di cui sopra ha perso il 18% dai livelli di inizio marzo, ma ha recuperato il 20% dai minimi toccati circa un mese e mezzo fa. Spostandoci sulle scadenze più longeve, abbiamo il bond settembre 2047 e cedola 7,50% (ISIN: XS1675862103), il cui rendimento ieri viaggiava sopra l’8,10% e che si è deprezzato di quasi il 24% in due mesi, pur segnando un rialzo altrettanto vigoroso dai minimi del tardo marzo. Interessante anche il bond che scade nel gennaio 2021 e con cedola 5,875% (ISIN: XS1324932273), che sempre ieri offriva il 6,35%, trattando sotto la pari, pur essendo risalito di circa il 9% da fine marzo. L’esito del collocamento sarà interessante, essendo la prima emissione internazionale di un debitore con rating “B” da quando è esplosa l’emergenza pandemia.
Dal Bahrein un bond allettante per rendimento e con profilo di rischio medio-alto