L’impatto del Coronavirus sull’economia italiana sarà pesante. Nel Documento di economia e finanza (Def), il governo ha previsto un calo del pil dell’8,1%, che si confronta con una crescita attesa dello 0,6% a settembre. Il pil nominale, inflazione inclusa, scenderebbe del 7,1%, dal +2% inizialmente previsto. Le stime indipendenti parlano di un crollo del pil reale italiano ancora più marcato e nell’ordine del 10%. Tralasciamo le differenze e concentriamoci sulle previsioni ufficiali del governo. La crisi avrà conseguenze, come vi abbiamo spiegato in un recente articolo, anche sul calcolo delle pensioni contributive.
Pensioni a rischio con il Coronavirus? Ecco il contraccolpo agli assegni
Con la legge Dini del 1995 fu previsto che chi avesse iniziato a versare contributi previdenziali dopo il 31 dicembre del 1995 sarebbe andato in pensione con il metodo contributivo, cioè il suo assegno verrà calcolato per intero sulla base dei contributi versati e annualmente rivalutati a un tasso pari alla crescita media del pil nominale nel quinquennio precedente. Quanti al 31 dicembre 1995 abbiano versato più di 18 anni potranno andare in pensione con il metodo retributivo, mentre per quanti avessero versato meno di 18 anni si procederà a un calcolo misto: retributivo per gli anni antecedenti l’entrata in vigore della riforma, contributivo per gli anni successivi.
Supponiamo che la signora Maria Rossi abbia compiuto 65 anni a marzo di quest’anno e abbia versato il suo primo contributo nel 1996, anno in cui ha iniziato a lavorare, effettivamente in tarda età, vuoi perché preferì al tempo accudire prima i figli e poi entrare nel mondo del lavoro o vuoi anche perché prima aveva lavorato in nero e solo da quell’anno la sua posizione sia stata regolarizzata, fenomeno che affligge milioni di italiani, specialmente al sud. La signora potrà andare in pensione tra meno di 2 anni, cioè quando avrà compiuto 67 anni di età. Sempre come esempio, immaginiamo che al 31 dicembre 2019 avesse accumulato un montante contributivo di 150.000 euro.
L’impatto sul montante dal 2022
Nel 2022, poi, dovranno sommarsi a tale montante i contributi versati anche nell’anno 2020 e si dovrà procedere contestualmente alla rivalutazione dell’intero montante sulla base della crescita del pil nel periodo 2016-2020. Per ipotesi, i contributi dell’anno 2020 sono pari a 5.000 euro. Ebbene, poiché nell’ultimo lustro considerato ai fini del calcolo non si registra alcun aumento del pil, anzi si avrebbe persino un leggero decremento, grazie a una legge del 2015, il montante rimarrà integro, cioè non verrà svalutato. Dunque, esso salirebbe complessivamente a 152.831 euro, a cui dovranno sommarsi i contributi versati nell’anno 2021 e nei primi mesi del 2022, non rivalutati e che supponiamo essere pari ad altri 6.250 euro. In tutto, siamo a 159.081 euro.
Pensioni contributive: il confronto governo-sindacati parte dai titoli di coda
Se per il 2022 il coefficiente di trasformazione, quello che si applica al montante per determinare l’importo dell’assegno, rimanesse invariato all’attuale 5,064%, la pensione mensile della signora sarebbe di 619,68 euro. E se l’economia italiana fosse cresciuta secondo le previsioni iniziali del governo pre-Coronavirus? Il montante al 31 dicembre 2019 sarebbe stato rivalutato di un ulteriore 1,95%, salendo a un totale di 162.061 euro, compresi i contributi non rivalutati versati nel 2021 e inizio 2022. Ciascuna delle tredici mensilità sarebbe stata, quindi, di 631,29 euro, 11,60 euro in meno al mese (150,80 euro all’anno), pari al -1,8%.
L’impatto della crisi sul calcolo delle pensioni verrà superato man mano che il pil rimbalzerà negli anni futuri. Dal 2023, ad esempio, il montante beneficerà della ripresa economica. Ma il crollo di quest’anno non verrà cancellato mai del tutto, perché ridurrà per sempre l’importo mensile dei futuri pensionati con il metodo contributivo, nel senso che esso risulterà inferiore a quanto sarebbe stato nel caso in cui quest’anno l’emergenza Coronavirus non fosse esistita.