Cosa succede alla lira turca? Davvero la Turchia rischia il default? Diversi lettori ci chiedono preoccupati cosa fare delle obbligazioni in portafoglio e denominate nella valuta emergente. In più occasioni, abbiamo avuto modo di ribadire un concetto abbastanza chiaro: Ankara ha una politica fiscale sostanzialmente ordinata, ma una monetaria del tutto inefficiente e che alimenta crisi valutarie costanti. Il cambio ha perso il 12% quest’anno contro il dollaro, pur recuperando quasi il 5,5% dai minimi toccati nelle settimane scorse.
La lira turca affonda e Ankara corre verso il baratro, a 2 anni dalla tempesta finanziaria
I “credit default swaps”, i titoli che assicurano contro il rischio default, sui 5 anni costano oggi circa 526 punti base, implicando una probabilità che si verifichi un evento creditizio avverso entro il prossimo lustro dell’8,77%, pur in calo dall’oltre il 10% di inizio mese.
Se vi fosse un default turco, cosa ne sarebbe delle obbligazioni sovranazionali in lire? In realtà, il capitale resterebbe salvo. Il fatto che organizzazioni come la Banca Mondiale o la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) o la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) emettano debito in svariate valute non significa che esse siano esposte ai default possibili degli stati che battono tali valute. Anzi, esse sono emittenti dalla massima affidabilità creditizia e, infatti, hanno tutte la tripla “A” come rating.
Cosa succede alle obbligazioni sovranazionali in lire turche
Attenzione, perché questo non significa che nel caso malaugurato e, pur sempre non molto probabile, di un default della Turchia, le obbligazioni sovranazionali in lire turche non subiscano alcun contraccolpo. I tassi di cambio di un paese dipendono dalla domanda che sul mercato vi è di quella valuta rispetto all’offerta. E voi capite benissimo che un evento terribile come il default azzererebbe gli afflussi dei capitali verso Ankara, facendone collassare la lira.
Abbiamo preso in considerazione tre obbligazioni sovranazionali in lire turche con scadenze medio-brevi. C’è il bond dicembre 2021 e cedola 17% (ISIN: XS1919332574) della BERS, che a una quotazione odierna di 109 offre un rendimento del 10,20%. Il bond con scadenza febbraio 2023 e cedola 17% (ISIN: XS1861204938) della BEI offre, invece, poco più del 12%, mentre quello della Banca Mondiale e scadenza marzo 2023 (ISIN: XS1791714147) si aggira attorno a un rendimento del 12,70%. Da notare che questi rendimenti siano sorprendentemente superiori a quelli offerti dalla stessa Turchia per le rispettive scadenze. Una contraddizione, dato il minore rischio di credito legato agli emittenti sovranazionali, che si spiega con il fatto che i rendimenti dei bond turchi in valuta locale siano nei fatti repressi da una politica monetaria della banca centrale disfunzionale e tesa a contenere i tassi d’interesse più che l’inflazione.
Attraverso le emissioni in dollari dello stato turco siamo in grado di capire quali siano le aspettative sui tassi di cambio nel medio-breve termine. Il titolo con scadenza marzo 2021 e cedola 5,625% (ISIN: US900123BH29) offre oggi il 4,41%, mentre quello che scade nel febbraio 2025 e cedola 7,375% (ISIN: US900123AW05) viaggia al 6,16%. Nel primo caso, rende il 3,90% in meno dell’omologo titolo in lire, nel secondo del 5,11% in meno. I differenziali sarebbero un po’ più ampio, se si tenesse conto di quanto sopra detto sulla repressione finanziaria di Ankara, ma ad ogni modo segnalerebbero un deprezzamento atteso della lira per i prossimi mesi e anni tale da lasciare intatto il capitale investito nei bond sovranazionali e da non intaccare neppure i rendimenti effettivi, i quali resterebbero positivi per un investitore dell’Eurozona.
Perché andare in default anche con un debito basso è possibile