E’ stata un successo in linea con le previsioni l’asta T-Ltro III di ieri, con cui la BCE ha erogato prestiti mirati alle banche dell’Eurozona per 1.310 miliardi di euro. Si trattava della quarta operazione del terzo programma messo in campo dall’istituto e varato più di un anno fa, a decorrere dal settembre 2019 con periodicità trimestrale. Nelle tre precedenti aste del T-Ltro III, le richieste di liquidità da parte delle banche erano state rispettivamente pari a 3,4, 97,72 e 114,98 miliardi.
Quale impatto degli “Eurobond” sui BTp e perché i tempi faranno la differenza
A questi prestiti, come a quelli che verranno erogati fino al giugno 2021, verrà applicato un tasso massimo del -0,50% e uno minimo del -1%, a seconda dell’aumento (o meno) dei prestiti erogati a loro volta dalle banche alla clientela, rispetto a quelli netti idonei selezionati. In altre parole, le banche più presteranno questo denaro ottenuto e più basso sarà il tasso che dovranno corrispondere alla BCE. In realtà, anche nel caso peggiore ci guadagneranno, visto che la forbice dei tassi d’interesse applicata è tutta negativa, per cui sarà comunque Francoforte a pagare le banche e non viceversa.
Sappiamo che ieri hanno partecipato all’asta 742 banche, tra cui diverse italiane. Intesa Sanpaolo ha richiesto 35,8 miliardi, delle altre non si conoscono ancora i dati. Sappiamo anche che la settimana scorsa risultano essere stati rimborsati in anticipo 240 miliardi delle aste T-Ltro, mentre altri 160 miliardi delle medesime sono in scadenza. Infine, 390 miliardi sono i finanziamenti da rimborsare con il T-Ltro “ponte”. Al netto di queste somme, le banche europee hanno ottenuto circa 550 miliardi. In teoria, questo successo premierebbe i BTp, grazie al cosiddetto “carry trade”, fenomeno che consiste nell’impiegare la liquidità ottenuta a basso costo per comprare assets dai rendimenti superiori.
Carry trade a vantaggio dei BTp
Nel caso specifico, una banca (italiana o non) avrebbe modo di acquistare un BTp a 10 anni al rendimento dell’1,40%, ottenendo pure un “premio” dello 0,50% (il tasso massimo negativo applicato dalla BCE) per farlo. In totale, otterrebbe un rendimento teorico dell’1,90%. Se si considera che il Bund sulla medesima scadenza offre il -0,40%, capite quanto conveniente divenga il carry trade per buttarsi sugli assets più rischiosi. In realtà, a beneficiarne non sarebbero tutti i BTp, ma quasi certamente perlopiù quelli con scadenze medio-brevi, ossia della durata non superiore a quella dei prestiti T-Ltro. Anche in questo caso, la convenienza a puntare sull’Italia rimarrebbe intatta, se è vero che il rendimento più basso lungo la nostra curva ieri fosse il -0,35% della scadenza mensile, mentre il più alto risultasse il +0,30% del triennale.
Che cos’è il carry trade, come funziona e quali sono i rischi
Nessun altro emittente sovrano nell’Eurozona, Grecia esclusa, offre tanto per titoli così brevi. Acquistando un BTp a 3 anni, quindi, si metterebbe in portafoglio un titolo con rendimento potenziale dello 0,80%, tenuto conto del tasso al -0,50% sui prestiti mirati. C’è un “ma” di cui tenere conto. Le banche italiane risultano già esposte verso i BTp per 423 miliardi di euro, ai massimi da 20 anni a questa parte. Probabile che vogliano diversificare gli impieghi, anziché rischiare di rimanere schiacciati da una probabile volatilità dei nostri bond nei prossimi mesi, quando gli effetti della grave crisi fiscale ed economica in corso verranno alla luce completamente.
In effetti, la partecipazione all’asta di ieri dovrebbe essere stata ampia tra le banche del Nord Europa, le più restie a comprare bond italiani, seppure al contempo le più a corto di alternative remunerative casalinghe. Non possiamo escludere, quindi, specie nel caso in cui si sentissero rassicurate dal decollo del “Recovery Fund”, che siano queste a buttarsi maggiormente (in parte) nei prossimi mesi sui BTp corti, fiutandone i guadagni veloci, elevati e a fronte di rischi, tutto sommato, molto bassi.