Il premier Giuseppe Conte ha rispedito al mittente la proposta di Autostrade per l’Italia per giungere a un accordo che eviti la revoca della concessione autostradale sulla tragedia del ponte Morandi a Genova di due anni fa. La società aveva offerto 14,5 miliardi di investimenti e una riduzione delle tariffe autostradali, nonché il dimezzamento a 10 miliardi della penale che lo stato le dovrebbe corrispondere per il caso di esercizio di revoca delle concessioni. Se la famiglia Benetton, tramite Atlantia, non scenderanno in una posizione di minoranza nel capitale di Aspi, l’esecutivo sarebbe pronto alla mossa estrema, ha reso esplicito l’inquilino di Palazzo Chigi nel corso di un’intervista a Il Fatto Quotidiano.
Alitalia: per i 5 Stelle i Benetton fanno bene agli aerei, male alle autostrade
Le azioni Atlantia hanno chiuso la seduta di ieri a Piazza Affari in calo del 15,18%, perdendo così circa 1,7 miliardi di euro e scendendo a una capitalizzazione complessiva di 9,38 miliardi, il 60% in meno rispetto alle sedute immediatamente precedenti il crollo del ponte Morandi. Male anche le obbligazioni della controllata Aspi, con la scadenza gennaio 2023 e cedola 1,625% (ISIN: IT0005108490) a ripiegare del 4,54%, offrendo adesso un rendimento del 4,75%, abbastanza elevato di questi tempi per un bond della durata residua di appena 30 mesi.
A che gioco sta giocando Conte? Sappiamo che il suo ministro dello Sviluppo economico, Paola De Micheli, solamente la settimana scorsa garantiva ad Aspi la gestione del nuovo ponte genovese da poco inaugurato dopo pochi mesi di lavori allestiti in tempi veloci. Sembrava che la vicenda dovesse sfociare in tutt’altro epilogo, ma ieri è arrivata la bastonata del premier. Ai Benetton viene rimproverata la responsabilità per la tragedia, avendo Aspi disinvestito piuttosto evidentemente nella manutenzione della rete autostradale, pur a fronte di lauti profitti maturati senza grossi sacrifici e solo grazie a concessioni statali benevole.
Reato di aggiotaggio?
Tutto verosimile, se non fosse che Aspi non sia solo la “creatura” dei Benetton e che la stessa Atlantia risulti per ben il 45% in mano ai piccoli azionisti, quelli che presumibilmente in questi lunghi mesi di trattative e “stop and go” tra governo e società stanno accusando i maggiori problemi, non avendo la più pallida idea di come finirà questo tira e molla mediatico. Parliamo di decine di migliaia di risparmiatori che rischiano di vedere andare in fumo i loro capitali per causa di dichiarazioni incaute rese da esponenti di governo e dello stesso premier, in barba alle regole che imporrebbero il silenzio, a borsa aperta, su fatti che abbiano la potenzialità di provocare oscillazioni dei prezzi di mercato.
Il caso Atlantia e la fuga dei capitali sono legati
Il reato di aggiotaggio è contenuto nell’articolo 501 del Codice Penale e così recita: “Chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa di cinquecentosedici euro a venticinquemilaottocentoventidue euro”.
Il governo e la maggioranza quotidianamente ormai si lasciano andare a dichiarazioni sul futuro della concessione, prima ancora che una decisione in tal senso arrivi e che venga celebrato il processo a carico delle decine di indagati tra i vertici Aspi. Siamo di fronte, cioè, a un modus operandi preoccupante, perché estraneo alla cultura di uno stato di diritto e alla tutela del risparmio, garantita dalla Costituzione all’art.47, per mezzo di un’intensa attività mediatica che non ha ragion d’essere, visto che l’unica cosa che rileverà, a tempo debito, sarà la decisione del governo sulle concessioni.
Le responsabilità dello stato
Non dimentichiamoci, poi, che lo stato è parte in causa in questa triste vicenda. Nel migliore dei casi, si sarebbe reso responsabile di mancata vigilanza, per cui la politica ha tutto l’interesse a scaricare sulla società Autostrade per l’Italia ogni addebito circa la scarsa manutenzione della rete. Per caso fu ignoto ai governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio quanto fosse a conoscenza di milioni e milioni di automobilisti? Qui, non si tratta di essere buoni con i Benetton, i quali, simpatici o meno, sono imprenditori italiani sottoposti come ogni altro cittadino alle leggi italiane, alle quali dovranno giustamente rispondere nel caso abbiano commesso reati per il tramite delle società controllate. Parliamo del diritto d’impresa, della tutela del risparmio e dello stato di diritto.
E occhio a sottovalutare la portata delle conseguenze nel caso di revoca. Tra Atlantia e la controllata Aspi, in ballo vi sarebbero debiti verso banche e obbligazionisti per ben 20 miliardi di euro, di cui il suddetto bond da 750 milioni. Oltre un punto di pil di fine 2019, che si sbriciolerebbe con default a cascata ai danni dell’economia italiana. Non significa che, ove le responsabilità fossero accertate, Atlantia non debba pagare o che i Benetton debbano farla franca. Semplicemente, lo stillicidio di invettive contro una società quotata in borsa non fa che allontanare i capitali da un’Italia ormai culturalmente sudamericanizzata e che sta prendendo una pessima piega anche in termini di rapporto con la certezza del diritto, sostituita dalle urla di piazza appositamente foraggiate.
Ricordiamoci che lo stato che oggi fa il viso feroce contro Atlantia è lo stesso che fino a qualche mese fa trattava con essa per accollarle il salvataggio di Alitalia, sfumato solo perché il Covid ha nei fatto costretto diversi governi, tra cui la Germania, a nazionalizzare le compagnie di bandiera.
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